La notizia è di quelle che nel 2020 non dovrebbe più suscitare interesse e invece, purtroppo, è ancora da considerarsi un ago in un pagliaio, dunque una rarità degna di essere celebrata: Ferrari, prima in Italia, ha ottenuto la certificazione Equal Salary per la parità di retribuzione tra donne e uomini con le stesse qualifiche e mansioni. “Il riconoscimento – spiega la Casa di Maranello – testimonia l’impegno un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle differenze, che sostenga allo stesso tempo lo sviluppo professionale di ciascuno”.
La certificazione è stata conferita dalla fondazione svizzera Equal Salary al termine di uno studio durato otto mesi da parte della società di revisione PwC, secondo una metodologia riconosciuta dalla Commissione Europea. “Siamo fieri di ricevere questa certificazione – commenta l’ad del Cavallino, Louis Camilleri – Rappresenta una pietra miliare importante nel percorso verso il miglioramento continuo del nostro posizionamento e delle nostre azioni per un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle differenze. La parità retributiva e di opportunità non riguarda solo un principio di equità. È un pilastro fondamentale per attrarre, trattenere e sviluppare i migliori talenti e stimolare così l’innovazione e la nostra crescita nel lungo periodo”.
Qualcosa si muove, ma la differenza tra il trattamento economico di un uomo e una donna sul lavoro continua a essere troppo rilevante. Secondo Eurostat, in Europa siamo al 17esimo posto su 24 paesi per ampiezza del Gender Pay Gap nel settore privato. Per la precisione, in Europa, al momento il 16 per cento in meno in termini di retribuzione oraria media, secondo Eurostat. Per il World Economic Forum, ai ritmi attuali ci vorranno 257 anni perché la disparità retributiva venga colmata. E l’Italia, secondo il Global Gender Gap Report 2020, ha perso sei posizioni nella classifica sulla parità salariale nel mondo: dalla 70esima alla 76esima, per un guadagno annuo di circa 17.900 euro contro i 31.600 degli uomini, e molte più ore lavorate (gratis) se contiamo l’impegno domestico.
La spiegazione che danno del fenomeno gli esperti delle retribuzioni è semplice: l’accesso delle donne alle posizioni apicali resta ancora molto basso, ma con lievi miglioramenti rispetto al passato. Ricorrendo ai dati Istat, emerge che dal 2008 al 2018 la percentuale di dirigenti donna è passata dal 27% al 32%, quella dei quadri dal 41% al 45%. Considerando solamente i dipendenti di aziende private, escludendo i dipendenti della pubblica amministrazione, la situazione peggiora. La Rilevazione Trimestrale sulle Forze Lavoro dell’Istat dice che la percentuale di dirigenti donne è del 15%, quella dei quadri il 29%.
D’altro canto, quando si tratta di soldi, le donne vengono discriminate a tutte le latitudini: ce lo ha ricordato alcuni mesi fa Samira Ahmed. La giornalista della Bbc aveva portato in tribunale il servizio pubblico britannico dopo aver scoperto di aver preso 700mila sterline (circa 830mila euro) meno di un collega, con un incarico analogo al suo in un’altra trasmissione. Il 10 gennaio 2020 i giudici hanno sentenziato che la differenza è spiegabile solo in un quadro di discriminazione. La via è aperta per altre cause.