La scorsa settimana Eni ha presentato i risultati finanziari relativi al terzo trimestre del 2022. Come ampiamente prevedibile, l’impennata dei prezzi energetici si è tradotta in ricchi guadagni. Anzi, di più: il Cane a sei zampe può brindare a risultati persino superiori rispetto alle previsioni degli analisti.
Nei primi nove mesi dell’anno il risultato operativo segna 16,8 miliardi di euro (+187% rispetto allo stesso periodo del 2021) e l’utile netto è pari a 13,2 miliardi (+475%). A settembre, con un esborso di 751 milioni di euro, è stata pagata la prima delle quattro rate del dividendo annuo: 0,22 euro per azione (la seconda rata sarà pagata il 23 novembre).
Eni, tuttavia, ha sottolineato che questi risultati straordinari derivano unicamente dalle attività internazionali del gruppo e che invece in Italia il bilancio è negativo a causa della tassa sugli extraprofitti, che ha visto la multinazionale sborsare ad agosto 500 milioni di euro di acconto (in attesa del saldo, previsto per novembre, che porterà il versamento totale a 1,4 miliardi).
A tal proposito, sulla stampa nazionale è passato abbastanza in sordina l’annuncio dato dallo chief financial officier di Eni, Francesco Gattei, a margine della trimestrale: «Abbiamo fatto appello contro la tassa sugli extraprofitti». Sono diverse le società energetiche che hanno impugnato la norma introdotta dal Governo Draghi per colpire chi ha guadagnato dai rincari e finanziare gli aiuti a famiglie imprese, ma fino a pochi giorni fa non era noto che nell’elenco dei ricorrenti figurasse anche Eni.
Queste aziende contestano il modo in cui la norma è stata scritta dal Ministero dell’Economia, che calcola il prelievo fiscale sull’imponibile Iva (ossia sul fatturato) anziché sugli utili di bilancio. Dunque, in conclusione, Eni, partecipata al 30% dal Mef (anche tramite Cassa Depositi e Prestiti), si trova ora a fare ricorso contro una tassa elaborata dallo stesso Mef. Bizzarro. Intanto il Governo Meloni ha già fatto sapere di voler riscrivere la norma. Staremo a vedere.