L’ultimo discorso di Draghi
Il presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi ha tenuto il suo ultimo discorso al Parlamento europeo. Il suo incarico scadrà il 1 novembre 2019 e al suo posto arriverà Christine Lagarde. Il suo discorso di ieri, lunedì 23 settembre, a Bruxelles, quindi, è stato un po’ come il suo messaggio di addio.
“In vista del rallentamento dell’economia e dei rischi al ribasso – ha detto – i governi della Zona Euro che hanno spazio nei bilanci dovrebbero agire con tempestività e quelli con alti debiti perseguire politiche prudenti e rispettare gli obiettivi Ue”, ha detto. Il messaggio, insomma, è chiaro: chi ha spazio di manovra (la Germania) spenda mentre chi ha un elevato debito (l’Italia) deve continuare ad agire con prudenza.
La politica monetaria, comunque, “continuerà ad agire, non ha esaurito le sue armi”, ha rassicurato l’ex governatore di Banca d’Italia. Ma, avverte, “le regole di bilancio non sono più efficaci. Vanno riviste. Sono sensate perché evitano l’accumulo di debito, ma non sono così efficaci perché non hanno capacità anticicliche”.
Nell’ultima audizione al Parlamento Ue, Mario Draghi ha chiesto anche importanti “riforme strutturali”, dalla giustizia all’istruzione e alla ricerca.
“Si dice che un banchiere centrale non deve parlare solo ai mercati e ai banchieri, che deve avere un linguaggio del popolo. Sono d’accordo ma sarei cauto”, ha affermato. “È molto importante – è il su parere – mantenere una distinzione tra il banchiere centrale e i politici perché è molto facile, usando il linguaggio popolare, entrare nel terreno che non è più quello della banca centrale ma diventa terreno politico. E questo è un danno per le banche centrali”.
La crescita in Europa e in Italia
Il dato riferito da Draghi nel suo ultimo discorso è che la crescita nell’Eurozona sta rallentando più del previsto. “Il Pil è ora previsto a 1,1 per cento nel 2019, meno 0,6 punti dalle proiezioni di dicembre, e 1,2 per cento nel 2020, meno 0,5 punti da dicembre”, ha detto.
Numeri che gli hanno permesso di spiegare, e giustificare, il suo ultimo “bazooka”, ovvero la sua politica monetaria espansiva. Un pacchetto di misure, che comprende anche un nuovo Quantitative easing da 20 miliardi e il taglio sui tassi dei depositi, a cui s’era opposta la Germania.
E ieri, proprio la Germania ha segnato il minimo da oltre 10 anni nell’indice manifatturiero per le piccole e medie imprese: l’indicatore è sceso a 41,44 contro il 43,5 di agosto.
Infine, Draghi, nel suo ultimo discorso è tornato a chiedere ai Paesi che hanno soldi di spenderli per far ripartire l’economia. “La Bce non può essere lasciata sola”, è stato l’appello che ha lanciato.
Sassoli: “Ho ringraziato Draghi per il suo ultimo discorso”
“Ho ringraziato il presidente della Bce Mario Draghi per il grande lavoro svolto in questi anni con equilibrio, competenza e autorevolezza e per l’attenzione che ha sempre avuto nei confronti del Parlamento europeo”, ha detto il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, dopo l’incontro con Draghi a Bruxelles, in occasione della sua ultima audizione nella commissione Problemi economici e monetari (Econ) dell’Eurocamera nelle vesti di presidente della Bce.
“Non so cosa farò dopo il 1 novembre”, ha detto il presidente uscente della Bce, ed ex governatore della Banca d’Italia. Nel frattempo, si prepara a insediarsi all’Eurotower Christine Lagarde.
“Gli scambi commerciali sono il maggiore ostacolo all’economia globale”, ah affermato il prossimo presidente della Bce in un’intervista a Cnbc.
Lagarde, che ha guidato il Fmi e si appresta l’1 novembre a prendere il posto di Mario Draghi alla Bce, ricorda come i dazi che Stati Uniti e Cina si sono imposte hanno sottratto lo 0,8 per cento alla crescita globale 2020. “Èun numero grande. Vuol dire meno posti di lavoro, meno investimenti, più incertezza. Pesa come una grande e nera nube sull’economia globale”, dice Lagarde.
I dati sull’economia italiana
Per puntellare la crescita nel 2020 servirà parecchio lavoro di cesello alla squadra del ministro all’Economia Roberto Gualtieri. La Nota di aggiornamento al Def, in arrivo tra giovedì e venerdì, deve infatti fare i conti con uno scenario di crescita e debito che parte in salita.
L’Istat ha rivisto in peggio, allo 0,8 per cento e al 2,2 per cento crescita e deficit/Pil rispettivamente del 2018, finora indicati a +0,9 e 2,1 per cento. L’impatto sugli anni successivi – non necessariamente negativo – lo si capirà dai dati trimestrali in arrivo nei prossimi mesi. Nel 2019 il deficit, poi, risulterebbe più vicino all’1,6 per cento che al 2,1 per cento indicato in precedenza, grazie al minor ‘tiraggio’ di reddito di cittadinanza e ‘quota 100’.
Sull’altro piatto della bilancia, nel negoziato con l’Ue per ottenere margini di flessibilità, c’è l’aumento del debito di oltre 58 miliardi operato oggi da Bankitalia sul 2018. Una revisione “puramente contabile”, puntualizza il Mef in una nota.
Al ministero dell’Economia si ragiona su uno scenario in cui, a spingere per la crescita, sono le due misure chiave del nuovo esecutivo: la riduzione del cuneo fiscale per 4-5 miliardi e lo stop ai rincari Iva da 23 miliardi. C’è poi da finanziare le spese indifferibili, l’azzeramento delle rette per gli asili nido, e i tre miliardi chiesti per l’istruzione.
Provvedimenti da finanziare – partendo da un deficit atteso per quest’anno intorno al 2 per cento – con una nuova tornata di spending review; il contrasto all’evasione fiscale; risparmi da 3,5-4 miliardi grazie ai risparmi per lo spread; un taglio di circa due miliardi degli sconti fiscali.
Numeri che rimangono appesi al negoziato con l’Ue: sarà inevitabile spuntare dalla Commissione europea un deficit programmatico 2020 ben maggiore al tendenziale, stimato in un 1 per cento di Pil. Con l’obiettivo di salire almeno al 2,1-2,2 per cento o fino al 2,3 per cento.
Il punto fermo, per Bruxelles, è che l’Italia assicuri un’inversione di rotta del debito pubblico in un orizzonte triennale. Il che chiama in causa il dossier privatizzazioni: se, come sembra, dopo il flop del 2019 (18 miliardi di dismissioni rimasti sulla carta) la manovra dovesse indicare non più di tre miliardi, il debito 2020 sarà inevitabilmente da registrare in crescita.