Alla maggioranza dei giornali italiani è sfuggita nei giorni scorsi la cancellazione della nuova tassa sugli extraprofitti delle società importatrici di gas. Nella bozza del Decreto Bollette era prevista l’introduzione di un prelievo del 10% sulla differenza tra il costo di approvvigionamento medio e il prezzo finale di vendita. La tassa avrebbe dovuto essere applicata ai contratti di importazione di lungo termine e avrebbe dovuto colpire le manovre speculative che sfruttano la crisi del gas per alzare i prezzi oltremisura. Si trattava di una tassa nuova e diversa rispetto a quella già introdotta con il Decreto Ucraina e confermata con il Decreto Aiuti, che impone un prelievo sugli extraprofitti del 25% calcolato però sul differenziale anno su anno dell’imponibile Iva.
Ma come in quel caso a beneficiarne avrebbero dovuto essere i consumatori sotto forma di uno sconto in bolletta. La nuova tassa, invece, è stata stralciata all’ultimo, per la gioia di Eni e degli altri importatori. Perché? Mistero, anche se una possibile spiegazione arriva dall’Autorità di regolazione dell’Energia (Arera), che nel suo ultimo monitoraggio non ha rilevato significativi discostamenti tra prezzo d’acquisto e prezzo di vendita. Eni intanto nel primo trimestre 2022 ha brindato a ricavi raddoppiati e a un utile quadruplicato. E su mandato del Governo continua a stipulare accordi con Algeria, Egitto, Congo, Qatar. Contratti di lungo termine che ci legheranno per molti anni ancora a un combustibile fossile. E tanti saluti alla transizione ecologica.