Gli abitanti dei paesi più poveri al mondo pagano un piatto di cibo più di quanto guadagnano in un giorno. A rivelarlo è un rapporto del World Food Programme delle Nazioni Unite, che stima il costo medio effettivo di un piatto di fagioli a New York pari a 1,20 dollari, più o meno 85 centesimi di euro, mentre la stessa pietanza nel Sud Sudan costa oltre 321 dollari, pari a oltre 273 euro.
Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come
Il documento è stato pubblicato lunedì 16 ottobre in concomitanza con la Giornata mondiale dell’alimentazione ed evidenzia la discrepanza tra il potere di acquisto dei consumatori in diversi paesi del mondo.
Ponendo una pietanza comune come un piatto di fagioli o altri legumi secchi come piatto di base e raccogliendo i dati sul loro costo in giro per il mondo, i ricercatori del Wfp hanno rivelato quanto le disuguaglianze economiche incidano sulla vita quotidiana delle persone.
“Aggiustando i dati secondo il potere di acquisto, abbiamo evidenziato le diseguaglianze nell’accesso al cibo nel mondo”, scrive nel rapporto David Beasley, direttore esecutivo del Wfp.
“Il risultato è, in molti casi, sconvolgente: se pensate che un piatto di cibo sia costoso in un paese come la Norvegia, provate in Malawi”.
Gli economisti delle Nazioni Unite hanno considerato una pietanza a base di legumi e carboidrati, come per esempio fagioli secchi e riso, e hanno raccolto i dati sul prezzo medio in una serie di mercati locali, confrontando questa spesa con il budget medio a disposizione dei cittadini del paese considerato, desunto dai dati del reddito pro-capite nazionale.
Il metodo utilizzato dal WFP
Gli economisti delle Nazioni Unite hanno utilizzato un metodo di calcolo per stabilire i costi medi e riuscire a confrontare i dati tra le varie nazioni studiate:
- i ricercatori hanno considerato una pietanza a base di legumi e carboidrati, come per esempio fagioli secchi e riso, e l’hanno posta, annotando il peso di ogni ingrediente, come piatto di cibo standard;
- il costo degli ingredienti è stato calcolato e convertito nella valuta nazionale di ogni paese considerato;
- il budget medio giornaliero a disposizione dei cittadini del paese studiato è stato desunto dai dati del reddito pro-capite nazionale;
- i ricercatori hanno calcolato la percentuale del budget giornaliero spesa da un individuo medio per acquistare un piatto di cibo;
- ponendo un consumatore medio di New York come individuo di riferimento, gli economisti hanno calcolato il prezzo teorico di questa pietanza nei paesi in via di sviluppo.
“Pensate ad Alice nel paese delle meraviglie, quando la protagonista torna alle proprie dimensioni normali, diventando molto più grande di tutto ciò che la circonda”, spiega il direttore Beasley nel rapporto, riferendosi al capitolo conclusivo del capolavoro di Lewis Carroll.
“Immaginate Alice come il consumatore e l’ambiente intorno a lei come il costo del piatto di cibo”, aggiunge Beasley. “L’Alice di grandi dimensioni rappresenta il consumatore medio dei paesi più sviluppati”.
“Per lei, comprare un piatto di cibo è una questione di poco conto”, nota il direttore Beasley. “Per un’Alice di piccole dimensioni invece acquistare un piatto di cibo diventa un problema sempre maggiore”.
I paesi considerati
Confrontando i dati di tutti i paesi considerati, risulta che, se a New York un piatto di fagioli e riso costa 1,20 dollari (più o meno 85 centesimi di euro), pari allo 0,6 per cento del reddito medio di un consumatore statunitense, la stessa pietanza, a parità di potere d’acquisto, ha un costo teorico di 8,27 dollari in Guatemala (poco meno di sette euro), 27,77 dollari in Nepal (quasi 24 euro) e 72,65 dollari a Haiti (più di 60 euro).
In Sud Sudan invece, il paese ultimo classificato nella lista stilata dal Wfp, lo stesso piatto di cibo ha un costo teorico di 321,70 dollari (oltre 273 euro), pari al 155 per cento del reddito medio giornaliero di un cittadino sud-sudanese.
Il direttore Beasley sottolinea nel rapporto le difficoltà di accesso al cibo, piuttosto che la sua totale assenza, come fattore fondamentale del diffondersi della fame nel mondo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Secondo il Wfp, almeno 795 milioni di persone hanno sofferto la fame nel solo 2016. Questa cifra, secondo le previsioni degli economisti dell’Onu, dovrebbe aumentare nel 2017 per diverse cause come guerre, instabilità politica, infrastrutture e cambiamenti climatici.
“Quasi 800 milioni di persone soffrono la fame sul pianeta perché semplicemente non possono permettersi di nutrirsi, eppure abbiamo abbastanza cibo da nutrire tutto il mondo”, dice Francis Mwanza, portavoce del Wfp.
Il cibo che sprechiamo potrebbe alimentare quasi due miliardi di persone”, ha aggiunto Mwanza. “A meno che non interrompiamo i conflitti, a meno che le persone non dispongano dei mezzi per coltivare il proprio cibo o potersi permettere di acquistarlo, la gente continuerà a soffrire”.
Anche zone di conflitto come lo Yemen, la Siria, la Nigeria e la Repubblica Democratica del Congo sono infatti presenti nella lista stilata dagli economisti del Wfp. In Siria, lo stessa pietanza considerata dagli economisti delle Nazioni Unite, a parità di potere di acquisto, si aggira intorno ai 190,11 dollari (pari a oltre 170 euro).
Nel nord est della Nigeria, interessato da anni dall’insurrezione di Boko Haram, a parità di potere di acquisto, il piatto di legumi costerà 200,32 dollari (pari a 179,43 euro). I ricercatori hanno comunque messo a punto un sito web che permette, con gli stessi dati e cambiando i parametri di riferimento, di giungere al medesimo risultato.
Prendendo come riferimento il consumatore medio italiano infatti, risulta che lo stesso piatto standard considerato in precedenza, in Sudan del Sud costerebbe intorno ai 117,07 euro.
I risultati presentati dal Wfp infatti sono relativi al paese preso come riferimento. Il dato significativo evidenziato dalla ricerca infatti non è il costo monetario di un piatto di cibo, ma la percentuale di reddito giornaliero necessaria per acquistarlo.
Gli economisti delle Nazioni Unite infatti hanno mostrato, attraverso questo studio durato decenni, come nei paesi più poveri del mondo il reddito medio di una persona non sia sufficiente a permetterle di sfamarsi.
Leggi l'articolo originale su TPI.it