Esattamente un anno fa Giulio Gambino, il direttore di TPI, mi mise in contatto con altri collaboratori del giornale che vivevano a Londra, così che potessimo coprire insieme la giornata al voto per il referendum della Brexit.
Insieme a Davide Lerner e Marco Sconocchia andammo all’evento di fine campagna elettorale di UKIP, il partito che fin dall’inizio aveva spinto per il referendum e per un’uscita britannica dall’Unione Europea. Qui una signora anziana, dopo avermi chiesto da dove venivo, mi disse che ci sono troppi italiani nel Regno Unito.
All’epoca, tutti quelli che vivevano nella bolla che è Londra pensavano che la Brexit sarebbe stato un flop, nello stesso modo in cui nessuno inizialmente pensava che Trump sarebbe stato eletto presidente degli Stati Uniti. Fino alla mattina del 24 giugno, quando si scoprì che il 52 per cento della popolazione britannica aveva votato per un’uscita dall’Europa, anche io non avevo preso seriamente in considerazione l’idea di una Brexit.
A partire dal 24 giugno tutte le certezze sui diritti di cittadinanza garantiti dall’Unione Europea sono state spazzate via, lasciando il posto a instabilità e a domande senza risposta.
Mentre i tre milioni di cittadini europei che vivono nel Regno Unito e i quasi due milioni di britannici che vivono in Europa godono ancora dei diritti conferiti dall’Unione europea (libertà di movimento, di impiego, di accesso ai servizi pubblici e di ricongiungimento familiare, per esempio), gli ultimi dodici mesi sono stati caratterizzati da una instabilità e una paura crescente che tali diritti verranno a cadere in seguito all’uscita definitiva del Regno Unito dall’Europa prevista per il 29 marzo 2019.
Potremo cercare impiego liberamente come ora, o il datore di lavoro dovrà farci da sponsor? Ci sarà una soglia minima di salario annuale per poter restare, come nel caso dei cittadini extra-UE che devono guadagnare almeno 35mila sterline all’anno per poter rinnovare il visto? Che succederà ai pensionati che non contribuiscono all’erario pubblico? Cosa succederà a chi ha famigliari non europei, come cambieranno le regole per il ricongiungimento famigliare? L’accesso alla pubblica assistenza diventerà a pagamento?
Queste sono solo alcune delle domande che gli europei residenti nel Regno Unito si sono posti ripetutamente quest’anno, senza ricevere alcuna risposta. Per un anno, i piani a breve e lungo termine di milioni di persone sono stati messi in pausa.
Questa instabilità ha avuto conseguenze pratiche nella vita di milioni di persone. I numerosi gruppi di Facebook sorti in seguito al 24 giugno riportano ogni giorno storie di cittadini europei a cui, per esempio, è stato negato l’accesso al mutuo, che sono stati discriminati durante selezioni per trovare lavoro, a cui sono state negate sovvenzioni statali. Negli ultimi 12 mesi nè istituzioni pubbliche nè private hanno ricevuto direttive sullo status dei cittadini europei, e quindi spesso sono state applicate condizioni arbitrarie.
Migliaia di europei hanno già deciso di lasciare il Regno Unito, e il numero di persone in arrivo dall’UE è calato drasticamente rispetto all’anno precedente.
Per chi ha deciso di restare, l’unica cosa da poter fare è stata aspettare l’inizio dei negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Europa, sperando che Bruxelles mantenga la propria parola e spinga per un riconoscimento dei nostri diritti anche in seguito al 29 marzo 2019. Nonostante ciò, l’impressione diffusa è che i tre milioni di europei nel Regno Unito siano diventati merce di scambio all’interno dei negoziati.
Ieri sera la prima ministra Theresa May per la prima volta negli ultimi 12 mesi ha detto durante un summit europeo qual è il suo piano riguardo lo status dei cittadini europei all’interno del paese: garantire un periodo di permanenza di cinque anni, in seguito al quale verranno riconosciuti i diritti di cittadinanza.
Le domande senza risposta riguardo quest’offerta sono molte: cosa succederà ai famigliari non europei tutt’ora residenti qui grazie al ricongiungimento famigliare garantito dall’UE? Quali saranno le condizioni durante il periodo di cinque anni – potremo muoverci, cercare lavoro, accedere ai servizi pubblici liberamente? E cosa succederà agli europei che sono arrivati e arriveranno qui dopo la data del referendum, 23 giugno 2016, ma prima della fine dei negoziati, 29 marzo 2019?
* articolo a cura di Laura Stahnke
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