Coronavirus, per avere gli Eurobond servono gli Stati Uniti d’Europa
È bene chiarirlo subito: gli Eurobond, una delle soluzioni proposte per finanziare le economie europee travolte dal Coronavirus, non esistono, quantomeno, non ancora. Si tratta di uno strumento che deve essere ancora progettato, costruito, realizzato. E c’è una ragione, che vale la pena spiegare. Il principio di funzionamento degli Eurobond è lo stesso dei bond nazionali: lo Stato emette dei titoli di debito pubblico per “chiedere” fondi ad investitori, in cambio della promessa di un rendimento e di una garanzia. Rendimento e garanzia sono le parole chiave in questo concetto. La garanzia è data, come per qualunque prestito, da asset, dal capitale dell’ente che emette il debito, esattamente come accade quando chiediamo un mutuo ad una banca. Questa garanzia, per gli stati nazionali è normalmente data dalla capacità di tassare, di chiedere e riscuotere denaro da cittadini e imprese.
Un Paese la cui economia è in crescita può promettere rendimenti più bassi, proprio perché l’investitore ha la certezza che questi verranno riconosciuti. Mentre un Paese la cui economia è in crisi, generalmente deve promettere rendimenti molto più alti, per attrarre investitori e potersi finanziare. Il funzionamento è quindi semplice, almeno per quello che riguarda gli Stati nazionali. Il problema è che l’Unione Europea non è uno stato, e non avendo una politica fiscale comune, non può, ancora, creare gli Eurobond, proprio perché non esistono imposte a livello europeo. L’idea di una politica fiscale comune è una proposta che da tempo viene portata avanti da numerosi esponenti politici europei, ma che si scontra con le posizioni di chi ritiene che sia più utile favorire la concorrenza fiscale tra stati, e chi, come i leader sovranisti, non è disposto a cedere parti di sovranità e di potere ad un organo sovrastatale.
Al momento, quindi, la proposta Eurobond non può essere realizzata proprio perché mancano sia i capitali a garanzia, sia una politica fiscale comune, ed è da da escludere una riforma dell’Unione Europea in questo senso, per lo meno in tempi brevi. L’unica ipotesi realistica di finanziamento delle attività dei Paesi in crisi da Coronavirus è quella di acquisto di titoli del debito pubblico, da parte della BCE, il cui processo è stato avviato poco tempo fa, con l’acquisto di 215 miliardi di euro di debito pubblico italiano, e dell’utilizzo del Mes, il fondo di garanzia salva-stati, costruito grazie alla collaborazione di diversi stati, che hanno stanziato dei fondi di “sicurezza” per un totale di 400 miliardi.
Il dibattito intorno alle condizioni dei prestiti è ancora aperto, ma la strada del Mes sembra, ad oggi, l’unica possibile per capacità di investimento e reale fattibilità. Gli Eurobond garantiti dall’UE, invece, esisteranno solo se vi sarà reale volontà degli stati di rinunciare alla concorrenza fiscale, cedere parti di sovranità fiscale, in vista della realizzazione del progetto di un’Unione Europea che promuova delle politiche fiscali unitarie. La fotografia del dibattito oggi è questa: i leader dei partiti sovranisti non vogliono il Mes, al tempo stesso reclamano gli Eurobond, ma non sono disposti a cedere parti di sovranità fiscale o politica. Su un tema così complesso, però, sarebbe bene fornire posizioni supportate da proposte che siano coerenti e compatibili: il rischio è di trovarsi di fronte a tifoserie, piuttosto che ad un reale confronto costruttivo su posizioni e proposte diverse.
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