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    “Più liquidità e meno burocrazia per le imprese o la concorrenza straniera ci ucciderà”: parla Riccardo Di Stefano, vicepresidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria

    Di Stefano a TPI: "Le aziende italiane sono state tra le prime a chiudere e le ultime a riaprire. Bisogna intervenire adesso, per mantenere quote di mercato. Bisognerà garantire una maggiore iniezione di liquidità, il pagamento dei debiti della Pa verso le imprese, uno snellimento della burocrazia che spesso ostacola l'erogazione dei fondi e un piano strutturale di investimenti pubblici"

    Di Antonio Scali
    Pubblicato il 27 Apr. 2020 alle 18:17 Aggiornato il 27 Apr. 2020 alle 19:55

    Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con la conferenza stampa di ieri, 26 aprile, ha annunciato agli italiani le principali misure per la cosiddetta Fase 2 dell’emergenza Coronavirus. Se il 4 maggio riapriranno le aziende del settore manifatturiero e delle costruzioni, già oggi una parziale ripresa si è registrata con le imprese e i distretti del settore manifatturiero rivolte prevalentemente all’export e le aziende del comparto costruzioni, solo per alcuni cantieri pubblici. Bisognerà aspettare il 18 maggio per la riapertura dei negozi, mentre il 1 giugno ripartiranno bar, ristoranti, parrucchieri e centri estetici.

    Dopo due mesi di lockdown, insomma, l’Italia prova a riaccendere i motori, perché la macchina economica e produttiva del Paese non può restare in stand-by troppo a lungo. Di questo e delle prospettive future per la nostra economia ha parlato a TPI Riccardo Di Stefano, vicepresidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria.

     

    Dottor Di Stefano, il presidente del Consiglio Conte nel presentare il decreto sulla Fase 2 ha sottolineato l’importanza del ruolo delle imprese per la ripresa del Paese. Come valutate le misure adottate dal Governo?

    Attendiamo di leggere nel dettaglio i contenuti del cosiddetto Decreto aprile, in particolare per quanto riguarda le misure che più interessano gli imprenditori, come il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e lo sblocco dei debiti della Pubblica amministrazione. Finora da parte nostra c’è stato un atteggiamento costruttivo nei confronti dell’esecutivo. Le nostre imprese stanno affrontando questa crisi storica con grande senso di responsabilità e premendo per far ripartire la produzione in piena sicurezza e nel rispetto dei protocolli siglati con governo e sindacati. Siamo consapevoli che termo-scanner, mascherine, guanti e sanificazione dei luoghi di lavoro entreranno nella quotidianità delle nostre aziende. Quello che ci saremmo aspettati è una maggiore programmazione da parte del governo, un orizzonte temporale e criteri chiari sulle riaperture.

    In generale come giudica lo sforzo del Governo a sostegno delle imprese e dei lavoratori nell’affrontare questi primi mesi di emergenza?

    Tenuto conto dell’alto indebitamento e della scarsità di risorse a disposizione, i primi provvedimenti hanno cercato di fronteggiare l’emergenza. Tuttavia per evitare il tracollo del nostro sistema produttivo, è essenziale che venga immessa liquidità nel nostro sistema economico, rapidamente e superando le attuali difficoltà di erogazione. Tale liquidità permetterà alle aziende di alimentare le filiere produttive e conservare le quote di mercato che i nostri prodotti rischiano di perdere a livello internazionale.

    Quali sono i punti su cui dovrebbe puntare il Governo per una riapertura in sicurezza che permetta ad aziende e piccole e medie imprese di restare a galla dopo questo prolungato stop?

    In primis come detto una maggiore iniezione di liquidità, il pagamento dei debiti della Pa verso le imprese, uno snellimento della burocrazia che spesso ostacola l’erogazione dei fondi e un corposo piano strutturale di investimenti pubblici, che vada a sopperire quanto il privato momentaneamente non riuscirà a fare. È importante puntare in particolare su opere facilmente cantierabili. E poi il sostegno al lavoro, per le tante persone che rischiano di perderlo a causa di questa epidemia. Serviranno politiche occupazionali lungimiranti.

    Molti imprenditori temono di venire schiacciati dalla concorrenza estera. Qual è la prospettiva in vista della fine del lockdown?

    In altri Paesi, nostri competitori diretti, i Governi hanno reagito con prontezza immettendo molta liquidità, non sempre intermediata dalle banche, nel tessuto economico e produttivo. Se non vogliamo che i danni subiti dalle nostre aziende siano permanenti dobbiamo agire adesso, per mantenere il nostro posto nella filiere globali di produzione. D’altronde le aziende italiane mediamente sono state le prime a chiudere a causa del Coronavirus e ora rischiano di essere le ultime a riaprire.

    I recenti dati diffusi da Unioncamere parlano di 9.000 imprese chiuse in più rispetto al primo trimestre del 2019, e il mio timore è che il trend si confemerà nei prossimi mesi. Non possiamo permettere che ciò accada, pur nel rispetto delle misure di sicurezza per la tutela della salute. Le stime economiche sono davvero preoccupanti: secondo l’FMI quest’anno il PIL dell’Italia calerà del 9,1%, mentre secondo altri studi il calo sarà oltre il 10%.

    Pensa avrebbe avuto senso una riapertura scaglionata per macro-aree, permettendo alle regioni meno colpite dal virus di aprire prima?

    Io non credo che il discrimine da tenere in considerazione sia quello geografico, quanto la capacità delle aziende di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro. Le nostre aziende e i nostri collaboratori sono disposti a fare tutto ciò che è nelle proprie possibilità, ma non possiamo fare tutto da soli. Occorrerà un grande sforzo collettivo per superare quanto prima l’emergenza sanitaria ed economica che stiamo vivendo.

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