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    Esclusivo TPI: Così i big dell’alta moda scaricano i loro problemi di liquidità finanziaria sui fornitori

    Credit: Cheng Tingting/Xinhua

    Da Prada a Elisabetta Franchi, sono diversi i grandi marchi che sospendono ordini e pagamenti o chiedono sconti al resto della filiera a causa dell'emergenza Coronavirus

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 22 Apr. 2020 alle 20:26

    Esclusivo TPI: Così i big dell’alta moda scaricano i loro problemi di liquidità finanziaria sui fornitori

    Negozi chiusi, ordini cancellati e attività produttive interrotte: il settore della moda è uno dei più colpiti dall’emergenza Coronavirus, in Italia e non solo. In un mercato che vale globalmente circa 2.300 miliardi di euro, le aziende hanno visto saltare l’intero sistema produttivo, con ripercussioni importanti in diversi paesi. In Italia il mercato della moda vale 97 miliardi di euro, due terzi dei quali per le esportazioni, e secondo Carlo Capasa, presidente della Camera della moda italiana, con le aziende del settore chiuse il nostro paese rischia di perdere la sua preminenza in Europa. Ma mentre i grandi marchi sono più solidi e possono resistere all’ondata della crisi dovuta al lockdown, a farne le spese in modo maggiore sono soprattutto i loro fornitori del settore tessile, cui nelle ultime settimane sono state chieste condizioni economiche più gravose e agevolazioni nei pagamenti sulla base dell’emergenza, come TPI è in grado di documentare. In questo modo, i grandi marchi in sostanza “scaricano” i problemi di liquidità sul resto della filiera.

    Il caso più eclatante, già reso noto sulle pagine del La Stampa – Cuneo e Il Fatto quotidiano, è quello di Miroglio, gruppo con un fatturato di 577 milioni di euro nel 2018, che alla fine di marzo ha inviato ai suoi fornitori una lettera in cui l’amministratore delegato Alberto Racca chiede una “piccola contribuzione economica”: uno sconto pari a una cifra tra il 3 e il 5 per cento del fatturato 2019. Parliamo di migliaia di euro di sconto chiesti soprattutto a fornitori del settore tessile di Prato, ma anche ad esempio della bergamasca, tra le zone maggiormente colpita dall’emergenza Covid-19.

    “I nostri 910 negozi sono chiusi dal 9 marzo”, ha scritto Racca in una replica pubblicata sul Fatto quotidiano. “Stimiamo una perdita del fatturato di più di 100 milioni di euro per il 2020, senza contare i costi già sostenuti per la produzione dei capi per la stagione in corso”. E aggiunge: “Ai nostri fornitori strategici abbiamo chiesto di aiutarci a sostenere questo momento difficile con uno sconto su merce già ordinata e che non venderemo probabilmente mai”.

    Il caso del gruppo Miroglio tuttavia non è stato l’unico. Richieste di agevolazioni in diverse forme ai fornitori sono arrivate anche da marchi come Prada ed Elisabetta Franchi, come dimostrano le lettere che TPI ha potuto leggere e che pubblica in esclusiva. Il gruppo Prada, ad esempio, con una lettera datata 10 marzo – il primo giorno in cui le misure di restrizione previste inizialmente per la Lombardia sono state estese a tutta Italia – ha comunicato ai suoi fornitori che “in deroga ad eventuali accordi o prassi in essere tra le parti, tutti i costi di realizzazione dei prototipi (…) nonché eventuali costi supplementari su ordini di campionario” saranno ad esclusivo carico dei fornitori stessi.

    Il gruppo, contattato da TPI per un chiarimento, ha specificato che “la quasi totalità dei prototipi vengono realizzati internamente da Prada s.p.a.” e che “ad alcuni fornitori è stata inviata una comunicazione relativi ad alcuni sviluppi di campionario di prototipia relative a materie prime eccedenti rispetto ai costi ordinari di produzione”, ma che comunque “si tratta di situazioni molto marginali”.

    Un’altra delle aziende che dopo l’emergenza ha inviato una comunicazione ai fornitori per limitare i danni è Betty Blue S.p.a., titolare del noto marchio Elisabetta Franchi, che nella lettera dispone “l’annullamento delle forniture non consegnate” e la “sospensione dei pagamenti relativi alle forniture già consegnate fino al termine del periodo dell’emergenza sanitaria”, oltre alla sospensione degli ordini non ancora evasi e di quelli del campionario.

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