Ve li ricordate i ritornelli della campagna elettorale leghista e pentastellata? E le urla che provenivano dai banchi della Camera e del Senato all’epoca dei salvataggi delle banche venete e di MPS?
“Il PD è amico dei poteri forti, salva le banche con i soldi degli italiani”, era il refrain grillo-leghista che ha accompagnato la stagione dei populisti di lotta.
Ora che i populisti sono diventati di governo, si comportano allo stesso modo degli esecutivi precedenti, varando in fretta e furia che un decreto che concede la garanzia pubblica a Banca Carige.
Un intervento statale a tutti gli effetti, un salvataggio governativo che prende forma attraverso due misure.
Innanzitutto, una garanzia sui prestiti che chiederà l’istituto, tramite emissioni di obbligazioni o con la richiesta di finanziamenti alla Banca d’Italia. Ciò significa che se Carige non sarà in grado di restituire i soldi presi in prestito, ci penserà lo stato (ovvero i contribuenti) a farlo.
La seconda misura prevede invece che se la banca avesse bisogno di una ricapitalizzazione, potrà chiedere l’intervento dello stato, che in quel caso diventerebbe il principale controllore dell’istituto.
Si tratta di un meccanismo, quest’ultimo, già visto all’opera durante il salvataggio del Monte dei Paschi.
C’è qualcosa di male in questa iniziativa dell’esecutivo? Forse nella forma, non certamente nella sostanza.
Il decreto è stato approvato in un CdM lampo, come mai era avvenuto in precedenza per una decisione di questo genere.
Su questo, si potrebbe obiettare che è mancato un confronto più approfondito tra i membri del governo, e che la norma, essendo stata predisposta in maniera improvvisa e inattesa, non è stata in alcun modo “digerita” nemmeno dall’opinione pubblica, che su questioni così complesse ha bisogno di essere informata nel modo più completo possibile.
Dal punto di vista sostanziale, però, tutelare i piccoli risparmiatori è una scelta sacrosanta, e se per farlo è necessario l’intervento dello stato, non c’è nulla di male.
La Lega e il Movimento Cinque Stelle, ora che sono al governo, si sono piegati al principio di realtà: le banche sono istituti che hanno in pancia i risparmi degli italiani. L’equilibrio tra potere pubblico e istituti di credito privati è sottile, e se i banchieri che speculano e violano le regole vanno puniti, allo stesso tempo non si possono etichettare le banche sic et simplicter come “i poteri forti”.
L’ideologia anti-sistema dei populisti regge insomma solo finché non si hanno responsabilità di governo.
Vale per Carige, ma anche per altri temi sui quali l’esecutivo gialloverde è stato costretto a clamorose giravolte rispetto a quanto dichiarato in campagna elettorale.
Come l’Ilva, il Tap, le trivelle, e chissà che tra poco non venga anche il momento della Tav.
L’elenco, volendo, sarebbe anche più lungo, e comprende diverse misure come il Bonus Cultura o l’alternanza scuola-lavoro, che i partiti di governo hanno confermato dopo averli attaccati in ogni modo quando erano all’opposizione.
“Hanno approvato un decreto per salvare la banca di Genova. Giusto, serve ai risparmiatori. Ma così certificano di aver mentito quando attaccavano noi sulle Venete, Etruria, Ferrara. Il tempo è galantuomo e fa giustizia delle tante bugie di questi piccoli imbroglioni”, ha scritto su Twitter l’ex premier Matteo Renzi.
“Ieri il Governo del cambiamento ha salvato una banca. Giusto così, per i risparmiatori. Ma se fossero uomini seri Di Maio e Salvini dovrebbero riconoscere che hanno fatto la stessa cosa che abbiamo fatto noi”, gli ha fatto eco Maria Elena Boschi.
Si può discutere sul merito delle scelte, del precedente governo come di questo. Sul fatto però che la propaganda grillo-leghista sulle banche sia crollata al primo problema serio che si è presentato con un istituto di credito, come si suol dire, le chiacchiere stanno a zero.