Il grande bluff della sanatoria per i migranti: un privilegio per pochi
“Le aspettative erano alte, sono stato contattato da tantissimi migranti, ma ho dovuto dire di no alla maggior parte delle richieste perché mancavano i requisiti. Casi eclatanti anche di persone che lavorano a tempo indeterminato in fabbrica e non hanno potuto fare la domanda per la sanatoria”. Con l’avvocato immigrazionista Pierluigi Franchitto noi di TPI abbiamo indagato la cosiddetta “sanatoria per i migranti“. Nei mesi dell’emergenza Covid, la ministra Teresa Bellanova si è fatta portavoce di un dibattito che ha portato all’inserimento nel decreto Rilancio (qui cosa prevede il testo) dell’articolo 103, che riguarda l’ “emersione di rapporti di lavoro”. Secondo la norma, i procedimenti da seguire sono due: istanza di un datore di lavoro che dichiara di voler assumere un cittadino straniero presente sul territorio nazionale alla data dell’8 marzo o che dichiara la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, in corso di svolgimento, con cittadini italiani o stranieri (comma 1); domanda avanzata dal cittadino straniero con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, che abbia lavorato nei settori presi in considerazione dalla norma e che sia disoccupato (comma 2).
I settori coinvolti sono quello primario (agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse) e quello del lavoro domestico (assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza e lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare).
Finora sono solo 9.500 le richieste arrivate. Davvero un numero esiguo se si pensa che l’esercito degli invisibili è composto da quasi 600mila presenze. “Il paese reale è ben altra cosa rispetto a quanto si è voluto pubblicizzare”, spiega Franchitto. “I cavilli burocratici e gli ostacoli a sfavore dei migranti che intendono regolarizzarsi sono enormi poiché la norma ha moltissime storture”.
I grossi limiti della “sanatoria”
Per essere approvata, la richiesta di sanatoria costerebbe ai datori di lavoro 500 euro per ogni lavoratore, più i contributi pregressi per il lavoratore in nero e quelli per il rapporto nuovo in essere. Un contributo forfettario che dovrà essere versato a seguito dell’istanza presentata dal 1° giugno al 15 luglio 2020, per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare. Oltre al problema dei 500 euro – che i datori di lavoro sono restii a versare – c’è il fatto che possono chiedere la regolarizzazione solo e soltanto coloro che, carte alla mano, abbiano lavorato come bracciante, come colf o come badante. Una platea davvero risicata.
I cavilli burocratici: tutto il potere in mano ai caporali
In primis, la sanatoria è rivolta solo a migranti irregolari che non hanno alcun tipo di contratto. Quindi, o lo straniero deve avere un rapporto in nero o deve fare un contratto ex novo con qualcuno (ma sempre solo e soltanto nei settori, colf, badante, agricoltura). Questo ha fatto sì che molti ragazzi si sono sentiti dire ‘no grazie’, perché appunto privi dei requisiti”, prosegue l’avvocato che fa alcuni esempi per spiegare meglio i cavilli burocratici: “Se sei un richiedente asilo con un permesso di soggiorno di 6 mesi, non puoi fare domanda. Se sei un irregolare ma hai un contratto a tempo indeterminato, non puoi fare domanda. La Questura di Roma, peraltro, ha reso le cose ancora più complicate: ha reso obbligatoria la rinuncia per i migranti alla domanda di asilo. In concreto, se vuoi aderire alla domanda e al contempo fare ricorso in tribunale per la richiesta di asilo, devi portare la rinuncia al giudizio in tribunale”.
E se la domanda di sanatoria va male? Qui le cose si complicano, perché “se la richiesta di sanatoria ha esito negativo, si farà un decreto di espulsione immediato per il migrante”. I cavilli burocratici limitano di molto la platea dei candidati, come la prova di presenza che viene richiesta al migrante, insieme alla presentazione di documenti di identità che non tutti riescono ad avere. L’immigrato irregolare, che effettivamente svolge un lavoro in nero, rimane comunque sempre il soggetto debole e senza armi giuridiche per poter emergere. Tutto dipende sempre dal datore di lavoro, che può autodenunciarsi come non farlo. Un potere enorme. E ci si chiede come mai per l’applicazione di questa norma non sia stata prevista una task force simile a quella organizzate per altre tematiche, con un esercito di ispettori di lavoro addetti a monitorare i vari casi.
Lo scudo penale per datore di lavoro e migrante: due pesi due misure
Come detto, la norma si muove su due binari. “C’è un binario per l’irregolare e uno per il datore di lavoro. Nel primo caso, il migrante non ha nessun documento e partecipa alla sanatoria. Qui o c’è un datore di lavoro che vuole far emergere un contratto in nero, o c’è il migrante che può stipulare un contratto ex novo. Questo è anche il canale più caro, in cui il datore di lavoro dovrebbe pagare 500 euro, più i contributi pregressi per il lavoratore in nero e quelli per il rapporto nuovo in essere. In questo caso lo straniero ha diritto a un primo permesso di soggiorno della durata del nuovo contratto di lavoro. Quando il permesso scade, se lo straniero ha mantenuto il lavoro, può richiedere la sanatoria reale. Ma se quella persona perde il lavoro, perde anche la possibilità della sanatoria. Questa casistica è molto elevata, trattandosi si contratti per lavoratori stagionali”, spiega Franchitto, “e i costi fanno desistere il datore di lavoro dal presentare la domanda. O peggio, si potrebbero creare situazioni per cui sono stesso i migranti a pagare di tasca propria i contributi al datore di lavoro”.
Il secondo binario riguarda lo scudo penale. “In questa norma c’è lo scudo penale totale per l’italiano o comunque per il caporale che sana la situazione lavorativa. Scudo che non si applica allo straniero che si autodenuncia e che è limitato all’accoglimento della domanda. Paradossalmente, se c’è un contenzioso per lo sfruttamento dei braccianti, per esempio, il caporale può godere dello scudo penale, invece l’altro si ritrova nei guai. L’unica pratica che sembra non presentare problemi è quella di colf e badanti, ma allora il concetto di sanatoria viene meno”.