Nicholas Bloom, professore di economia alla Stanford University, ne è convinto: nessuno dovrebbe temere di comunicare al proprio capo il desiderio di iniziare a lavorare da casa.
Bloom, che co-dirige il programma Productivity, Innovation and Entrepreneurship presso lo US National Bureau of Economic Reserach, ha già lavorato a distanza in passato, e riconosce che si tratta di un fenomeno in forte espansione. Negli Stati Uniti, il numero dei telelavoratori è triplicato negli ultimi trent’anni, e attualmente il fenomeno coinvolge 3.6 milioni di persone.
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Per corroborare la propria tesi, Bloom ha condotto uno studio, durato nove mesi, che ha coinvolto la Ctrip, l’agenzia di viaggi più grande della Cina, che conta 16mila impiegati. I dirigenti della compagnia erano interessati a concedere ai dipendenti di Shangai la possibilità di lavorare da casa, ma a causa della mancanza di dati sul possibile impatto della nuova strategia, c’erano anche forti perplessità su questo cambio di politica aziendale.
Nel 2012, Bloom e James Liang, co-fondatore e CEO della compagnia, hanno deciso allora di condurre uno studio su un campione di cinquecento impiegati dell’area call center, selezionati sulla base di determinati requisiti, come l’avere a disposizione una camera ad uso singolo da cui poter lavorare e una buona connessione a internet.
Il gruppo è stato successivamente diviso tra soggetti che festeggiavano il compleanno in giorni pari e in giorni dispari. I primi sono stati scelti per lavorare da casa, mentre i secondi sono rimasti in ufficio.
I risultati dello studio sono stati incoraggianti. È emerso, infatti, che la Ctrip aveva risparmiato circa 1.600 euro per singolo lavoratore; coloro che lavoravano da casa avevano registrato un incremento della produttività del 13.5 per cento; il tasso di abbandono era diminuito del 50 per cento. Inoltre, chi lavorava da casa si diceva più soddisfatto in termini professionali. Tuttavia, nelle settimane successive alla fine dell’esperimento, una parte del campione ha preferito tornare a lavorare in ufficio, a causa della “troppa solitudine sofferta a casa“.
Per alleviare gli effetti negativi del telelavoro, Bloom suggerisce di adattarlo con le esigenze degli impiegati. Uno o due giorni di telelavoro a settimana potrebbero essere la soluzione ideale per mantenere alta la coesione del gruppo, ma allo stesso tempo diversificare la routine quotidiana.
Quello che è necessario, a detta di Bloom, è che le aziende cambino visione sulla figura dell’impiegato, che oggi non è più legato a una realtà industriale in cui la presenza fisica sul posto di lavoro era imprescindibile.
Ecco un video in cui Bloom presenta i risultati del suo studio:
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