Schizza il prezzo del petrolio dopo l’attacco delle raffinerie in Arabia Saudita
Dopo l’attacco alle raffinerie dell’Arabia Saudita del 14 settembre, il prezzo del petrolio è salito repentinamente come non accadeva da oltre trent’anni. Stati Uniti e Arabia Saudita hanno già annunciato che attingeranno alle loro riserve, e la compagnia Saudita Armaco, proprietaria delle raffinerie, sta alacremente lavorando per riportare la situazione alla normalità. I tempi però potrebbero essere lunghi e nel frattempo l’economia mondiale ne sta risentendo.
L’attacco ai giacimenti di petrolio ha portato a una perdita di circa 5,7 milioni di barili di greggio, pari al 5% della produzione globale e al 10% dell’esportazione globale. Oggi, 16 settembre, il prezzo del greggio a New York è volato a 61,24 dollari al barile, con un incremento del prezzo pari a circa l’11,65 per cento, mentre all’apertura del mercato di questa mattina il petrolio di qualità Brent è stato scambiato sulla borsa di Londra addirittura a quasi 72 dollari al barile, con un aumento del 20%, un prezzo mai così alto dai tempi della Guerra del Golfo (1991).
Il presidente Usa Donald Trump ha rassicurato i cittadini americani sulla fornitura di scorte d’emergenza, ma secondo molti analisti ci vorranno mesi prima che gli stabilimenti petroliferi di Aramco tornino alla piena produzione.
Stando alle ultime stime Ocse, le scorte mondiali di petrolio sono ancora molto alte, superiori di 30 milioni barili alla media degli ultimi 5 anni ma questo potrebbe non essere sufficiente a evitare un’ulteriore impennata dei prezzi anche nei prossimi giorni.
Una delle ragioni dei prezzi bassi mantenuti finora era infatti la garanzia che l’Arabia Saudita fosse capace di avere una “scorta” produttiva inutilizzata pari a 3,2 milioni di barili al giorno. Secondo alcuni analisti se il taglio produttivo dai 10 ai 5 milioni al giorno di barili dovesse durare per 2 settimane, il prezzo del greggio potrebbe salire addirittura fino a 80 dollari al barile.
Le conseguenze della diminuzione della produzione di petrolio potrebbero colpire anche l’Italia e Codacons ha già lanciato l’allarme: “Le famiglie italiane rischiano una stangata da 320 euro l’anno se la corsa delle quotazioni petrolifere, innescata dall’attacco agli impianti sauditi che ha fermato il 5 per cento della produzione globale dovesse proseguire. Se le quotazioni del petrolio raggiungeranno quota 80 euro al litro, i prezzi di benzina e gasolio saliranno almeno di 10 centesimi di euro, con un effetto domino sull’economia italiana, con la benzina che arriverebbe a costare 1.800 euro al litro e il diesel 1.695 euro”. Una crisi del petrolio, secondo Codacons, potrebbe coinvolgere velocemente anche altri settori dell’economia. “L’aumento del costo del carburante, porterebbe ad un maggior costo dei trasporti e dei prodotti trasportati con un incremento generalizzato dei listini pari a circa 200 euro annui a famiglia per l’acquisto di beni”, ha aggiunto.
L’improvviso aumento del costo del petrolio porterà dunque a un aumento del costo di tutti i prodotti in commercio. Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, ha avvertito i consumatori: “A subire gli effetti dei prezzi dei carburanti sarà anche l’intero sistema agroalimentare dove i costi della logistica arrivano a incidere dal 30% fino al 35% sul totale dei costi per frutta e verdura. Gli choc energetici aggravano un deficit logistico che è necessario recuperare investendo sulle energie alternative ed sbloccando le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo”.
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