Un’importante sentenza della Corte di Giustizia del 26 settembre 2019, resa nella causa C-63/18, ha sancito la illegittimità del limite del 30% della parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi. Il contratto di subappalto prevede infatti tre figure: il committente, che negli appalti pubblici è la stazione appaltante, l’appaltatore incaricato dal committente con contratto di appalto, e il subappaltatore incaricato dall’appaltatore. Il limite concerneva il quantitativo della prestazione rapportato all’importo a base di gara, che l’operatore economico aggiudicatario di un appalto pubblico poteva subappaltare ad altre imprese. In un primo momento l’art. 105, comma 2, del D.lgs. 50/2016 aveva sancito la sussistenza di un limite del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Ad esempio su un importo posto a base di gara pari a 500 mila euro, l’eventuale subappalto non poteva superare il valore di 150 mila euro.
Successivamente, con la legge “Sblocca Cantieri”, l’art. 105 aveva subito una modifica parziale fino al 31 dicembre 2020, in via del tutto sperimentale, circa l’innalzamento di suddetto limite fino al 40% del valore dell’appalto: su un importo pari a 500 mila euro, il limite sarebbe stato quindi pari a 200 mila euro. Le ragioni circa l’introduzione di una disciplina restrittiva di tale portata, erano insite nello scongiurare eventuali infiltrazioni mafiose all’interno degli appalti pubblici. La stessa disciplina lo scorso gennaio era stata oggetto di una procedura d’infrazione con cui la Commissione Europea aveva messo in mora lo Stato italiano circa l’inadempimento agli obblighi di conformità della normativa nazionale con quella euro-unitaria: le direttive 23-24-25/2014/UE, recepite con il D.lgs. 50/2016 – il Codice dei contratti pubblici – non prevedevano alcun divieto di subappaltare più del 30% di un appalto pubblico. Il legislatore italiano, contrariamente alle prescrizioni dettate da Bruxelles, con la legge Sblocca Cantieri aveva invece addirittura innalzato la portata di tale divieto, fino ad introdurre il limite del 40% in caso di subappalto.
Il 26 settembre scorso, la Corte di Giustizia, con tale arresto, ha motivato la sua decisione affermando che l’introduzione del limite del 30% è posto in violazione delle regole pro concorrenziali: le direttive europee si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici. I giudici affermano infatti che “supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno (di infiltrazione mafiosa – ndr), una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”. L’istituto del subappalto costituisce il mezzo e l’obiettivo per consentire la massima partecipazione degli operatori economici: l’art. 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE consente alle amministrazioni aggiudicatrici di limitare il diritto degli offerenti di ricorrere al subappalto, ove tale limite sussiste in virtù della particolare natura delle prestazioni da svolgere.
Gli arresti della Corte di Giustizia, non potendo determinare alcuna modifica della normativa di ciascuno Stato membro, per il principio di separazione dei poteri sancito da Montesquieu per cui il potere legislativo è da ritenersi del tutto distinto dal potere giudiziario, sanciscono la disapplicazione per l’operatore del diritto circa la normativa ritenuta ostativa ad una interpretazione conforme con quella euro-unitaria, contenuta per gli appalti pubblici nelle direttive 23-24-25/ /2014/UE. I tecnici del settore, in attesa di una modifica della normativa per opera del legislatore italiano, dovranno quindi procedere alla disapplicazione di tale divieto circa il limite sia del 30 % che del 40% del subappalto: qualsiasi restrizione in ambito concorrenziale determinerebbe l’illegittimità degli atti posti a base di gara. Per il subappalto, quindi, ad oggi non sussiste più alcun divieto circa il limite di subappalto – né del 30%, né del 40%.
Nel caso de quo il T.A.R. Lombardia, con ordinanza del 13 dicembre 2017, nel procedimento Vitali S.p.A. contro Autostrade per l’Italia SpA., aveva sollevato la questione pregiudiziale in via principale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, attraverso il mezzo delle c.d. ordinanze interlocutorie, con cui i giudici nazionali e i giudici della Corte di Giustizia “dialogano” circa il rispetto degli obblighi di conformità della normativa di ciascuno Stato membro con quella euro-unitaria, secondo il principio di supremazia del diritto europeo su quello nazionale: si ribadisce che il giudice, sia europeo che nazionale, non può perpetrare alcuna ingerenza in ambito legislativo, essendo di competenza esclusiva del Parlamento italiano. Non può quindi estromettere la sussistenza di alcun divieto circa la facoltà di subappaltare il contratto ad altri operatori economici. È bene rilevare che, il giudice amministrativo, nel contenzioso degli appalti pubblici ha il solo potere/dovere di annullare gli atti ove riscontrasse eventuali illegittimità.
L’art. 80 del D.lgs. n. 50/2016, che sancisce i motivi di esclusione negli appalti per gli operatori economici, si attesta quindi come disposizione parafulmine, tale da scongiurare nelle gare pubbliche il pericolo della partecipazione di imprese che possano vantare un curriculum di dubbia moralità e affidabilità. L’unico modo per sconfiggere il pericolo di infiltrazioni mafiose, sarà quindi l’attestazione in capo a ciascun subappaltatore circa l’assenza di motivi di esclusione, tali da determinare la mancata affidabilità dell’impresa. La mancata indicazione della c.d. terna dei subappaltatori, così come sancita dalla legge “Sblocca Cantieri”, non esclude per ciascuna amministrazione aggiudicatrice la doverosa verifica circa l’assenza dei motivi di esclusione, così come sanciti dall’art. 80 del D.lgs. n. 50/2016: tali modifiche dovranno essere compensate, a partire da oggi, con un occhio particolarmente vigile rivolto alla documentazione amministrativa prodotta dall’impresa aggiudicataria in caso di subappalto e alle attestazioni concernenti la sussistenza dei requisiti di affidabilità e moralità delle operatori economici.
Per il mondo dei contratti pubblici, dilaniato da continui cambiamenti per opera del legislatore nazionale che determinano sempre di più maggiore incertezza giuridica e disomogeneità di prassi, mala tempora currunt. Se in un primo momento era stata notificata allo Stato italiano una procedura d’infrazione, ad oggi c’è anche una sentenza della Corte di Giustizia che ricorda al Governo il dovere di attenersi agli obblighi di conformità della normativa nazionale così come sanciti dai Trattati europei. L’ultima parola spetta quindi al Parlamento italiano.
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