Amazon smentita dagli autisti: “Costretti a fare pipì nelle bottiglie”. Succede anche in Italia
“Non credete mica alla cosa della pipì nelle bottiglie, vero?” Nelle scorse ore Amazon ha tentato di smentire uno dei problemi più controversi riguardanti le condizioni di lavoro degli autisti, in molti casi costretti, secondo quanto riportato negli ultimi anni dalla stampa internazionale, a fare i loro bisogno all’interno di bottiglie e sacchetti per l’intensità dei turni di lavoro. Non secondo Amazon, che in un tweet inviato da un proprio profilo ufficiale in risposta alle accuse di un politico statunitense, ha affermato che se questo fosse vero “nessuno lavorerebbe per noi”.
La dichiarazione è stata sconfessata dagli stessi autisti, che sulla piattaforma di social media Reddit hanno direttamente condiviso le foto delle bottiglie incriminate, secondo quanto riportato Motherboard, sito tecnologico di Vice, che ha confermato la posizione di uno degli utenti come autista per Amazon.
Negli scorsi anni il problema è stato riportato in maniera estensiva in diversi paesi, a partire dal libro del 2018 del giornalista britannico James Bloodworth (“Hired: Six Months Undercover in Low-Wage Britain”), che ha documentato i sei mesi trascorsi a lavorare come badante, autista Uber e in un magazzino Amazon.
A esserne direttamente a conoscenza è la stessa Amazon, ha riportato dal sito di inchieste The Intercept, secondo cui molti dirigenti hanno fatto riferimento a quest’abitudine in documenti e mail interne in cui, a seguito di ritrovamenti ripetuti, ricordano ai dipendenti di controllare all’inizio del turno se sono rimaste nei furgoni bottiglie o sacchetti e ribadiscono che lasciare i propri bisogni costituisce un’infrazione di “livello 1”, che può cioè portare alla cessazione del rapporto di lavoro.
Un problema che non è estraneo all’Italia, secondo Marino Masucci, segretario generale Fit Cisl Lazio. “Io so per certo che a Roma questo succede”, ha dichiarato recentemente in un’intervista a Radio Cusano Campus, aggiungendo che i ritmi di lavoro sono insostenibili.
Lo scorso lunedì 22 marzo in Italia è stato tenuto per la prima volta uno sciopero di 24 ore riguardante l’intera filiera di Amazon nel paese, che comprende circa 40.000 lavoratori, dopo il fallimento delle trattative con i sindacati Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, chiedendo ai consumatori di rinunciare a fare acquisti sulla piattaforma per un giorno. Le richieste riguardano carichi di lavoro, orari di lavoro lunghi per i conducenti, bonus legati ai risultati, buoni pasto e stabilizzazione dei contratti temporanei, oltre a indennità per aver lavorato durante la pandemia.
La mobilitazione segue le proteste organizzate a livello globale contro il gigante della logistica e della distribuzione in occasione dello scorso Black Friday, a cui hanno preso parte lavoratori e attivisti in paesi come Bangladesh, India, Australia, Germania, Polonia, Spagna, Francia, Regno Unito, Stati Uniti sotto lo slogan “Make Amazon Pay”.
In particolare negli Stati Uniti è in corso un importante voto in Alabama per decidere se i 5.000 lavoratori del centro di Bessemer aderiranno al sindacato Retail, Wholesale and Department Store Union (RWDSU), che diventerebbe il primo a rappresentare dipendenti di Amazon nel paese. Il voto, che terminerà il 29 marzo, è salito alla ribalta nazionale grazie anche alle pressioni dell’ala sinistra del partito democratico tornato al governo quest’anno, guidata da Bernie Sanders. Proprio una sua visita prevista per venerdì nella città del sud degli Stati Uniti ha scatenato la discussione su Twitter che ha portato alle dichiarazioni citate del profilo Amazon News.
Nelle scorse settimane la mobilitazione a Bessemer ha incassato anche il sostegno del presidente statunitense Joe Biden, che ha ricordato come ogni lavoratore dovrebbe poter scegliere liberamente se aderire a un sindacato “senza intimidazioni o minacce dai datori di lavoro”.
Già una delle prime aziende al mondo per valore di mercato, dall’inizio della pandemia Amazon ha fatto registrare un risultato record dopo l’altro. Nel quarto trimestre del 2020, ha raggiunto per la prima volta un fatturato netto di 125,6 miliardi di dollari (106,5 miliardi di euro), una crescita del 44 percento dall’anno precedente, mentre i profitti per il trimestre sono più che raddoppiati arrivando a 21,3 miliardi di dollari. Nel 2019 il fatturato in Italia è stato di 4,5 miliardi di euro.
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