Quella appena iniziata è una “settimana decisiva” per il futuro di Alitalia. A dirlo è stato il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti. Sembra infatti ormai giunto alle battute finali il “braccio di ferro” ingaggiato con la Commissione europea: dalle ceneri di Alitalia nascerà Ita, una nuova società pubblica dal futuro piuttosto incerto. Alitalia non solo cambierà nome, ma anche logo. Quasi la metà degli slot di Milano Linate, inoltre, dovranno essere venduti a concorrenti come Ryanair, Lufthansa e EasyJet, mentre resta da risolvere la questione dei lotti di manutenzione e handling, da mettere a gara. Insomma, il rischio concreto è quello di una compagnia di bandiera “bonsai”, con meno di 50 aerei, e quindi già in partenza incapace di reggere a livello internazionale.
L’obiettivo del governo, spiega Giorgetti, “è di avere una compagnia competitiva”, con un impegno nella nuova Alitalia da parte dello Stato di tre miliardi di euro. Ma è soprattutto l’aspetto occupazionale a destare maggiore preoccupazione, con oltre 7000 posti di lavoro a rischio, circa 20mila persone coinvolte se si considera l’indotto. Ne abbiamo parlato con Esterino Montino, sindaco di Fiumicino, cittadina del litorale laziale di circa 80mila abitanti, molti dei quali lavorano, direttamente o indirettamente, con l’aeroporto Leonardo da Vinci, uno dei principali scali italiani.
“Il piano industriale di Ita e le condizioni poste dall’Europa per la nascita di questa nuova azienda porteranno al licenziamento di oltre 7000 persone, per cui si passerà dai circa 11mila occupati attuali a circa 3000-3500 lavoratori che verrebbero assorbiti dalla nuova compagnia. Ma si tratterà di un’azienda microscopica, in netto contrasto con quanto avviene in tutti gli altri Paesi. Mentre i competitor di Alitalia hanno 400-500 vettori, o addirittura 700 nel caso di Lufthansa, con Ita – spiega il sindaco Montino a TPI – passeremmo da 120 aerei ad appena 40-45. Si tratta dello stesso numero che aveva Meridiana per garantire il collegamento con la Sardegna. Si va quindi verso un’azienda di carattere regionale. Ma nessuna compagnia ragiona in quest’ottica: Ryanair, per esempio, sta facendo contratti di leasing per 200 aerei nuovi, per rimpinguare la flotta che ha”.
“Quest’operazione – aggiunge il primo cittadino di Fiumicino – non ci convince in primis perché comporta un bagno di sangue di carattere sociale: considerando anche l’indotto, questa situazione impatta sulla vita di circa 20mila persone. E poi perché tutti i grandi Paesi occidentali hanno una propria compagnia di bandiera, mentre l’Italia sarebbe l’unico a non avercela più”.
“È paradossale che questo governo, che dice di voler puntare molto sul turismo, come prima mossa decide di togliere la compagnia di bandiera. Gli unici in Europa che scelgono di abbandonare questo asset strategico siamo noi. Per questo la riteniamo una scelta non condivisibile, addirittura sciagurata. Va riconosciuto il fatto che sono stati stanziati tre miliardi per trovare uno sbocco diverso al caso Alitalia. Il problema è che poi si è presa una piega sbagliata. Con l’arrivo di Draghi speravamo che la sua autorevolezza e anche il cambio al Mise (da Patuanelli a Giorgetti) portassero ad una svolta, mentre invece si è continuato a seguire questa linea. Più che una svolta, con il nuovo governo c’è stata un’inversione di marcia in senso negativo”.
“Siamo preoccupati: il rischio è che questa compagnia sia così piccola che non reggerà neanche un anno sul mercato, scomparendo completamente e quindi buttando anche i tre miliardi di soldi pubblici che sono stati investiti. Il mercato è molto competitivo: sul corto raggio ci sono le low cost, mentre sul lungo o reggi il confronto con le grandi compagnie internazionali o vieni spazzato via. Il problema vero è che non c’è una strategia industriale. Sono anni poi che c’è chi pensa che a questo punto sia meglio liquidare tutto, gettare la spugna, invece di trovare una soluzione. Spero Draghi non sia di questo avviso”.
“Si, sono state approvate all’unanimità dal consiglio comunale e le abbiamo inviate a tutti i parlamentari e ai ministri, ma senza ricevere alcuna risposta. Pensiamo sia necessaria una completa ristrutturazione, che trasformi Alitalia non più in un’azienda in liquidazione, ma viva, capace di stare sul mercato. A quel punto sarebbe possibile stringere alleanze a livello internazionale con le grandi compagnie aeree.
Mettere in cassa integrazione per anni oltre 7000 lavoratori, significa per lo Stato spendere più di un miliardo in ammortizzatori sociali. Aggiungendo a questi i tre miliardi messi in Ita, è evidente che sarebbe più proficuo investire in un serio piano di rilancio dell’azienda. I nostri ministri dovrebbero ragionare su questo, visto che andiamo verso una fase di ripresa nei prossimi mesi. Con questa fase di stallo, la cosa più grave è che stiamo perdendo circa 500 milioni di euro, perché nessuno sta progettando la stagione estate-autunno di quest’anno. Le altre compagnie stanno organizzando la prevendita, mentre noi a causa di questa incertezza siamo completamente fermi”.
“Siamo preoccupati per l’impatto che può avere sul nostro territorio. Sono circa 4000-5000 i lavoratori diretti di Fiumicino coinvolti in questa situazione. Sono problemi che non si risolvono con i mille euro al mese di ammortizzatori sociali, e noi amministratori locali siamo i primi ai quali viene chiesto conto. Siamo arrabbiati perché dal governo o dai ministeri non c’è stato un minimo di interlocuzione per capire come affrontare il problema. Quella comunale è l’istituzione più vicina alla gente, per questo dovrebbe essere quanto meno coinvolta, anche se si hanno opinioni diverse”.
“Sicuramente è stato così, ma prendersela con i piloti, con i meccanici o i tecnici e non con le capacità manageriali di chi l’ha gestita è sbagliato. Se vediamo la storia della compagnia, non ci sono mai stati ai vertici persone competenti nel settore: è come se nel ruolo di direttore di un grande giornale ci mettessimo un medico. Bisogna mettere le persone giuste al posto giusto“.
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