Usa-Cina, accordo sui dazi. Ma per l’industria italiana potrebbe non bastare
Se la tregua commerciale in atto tra Cina e Usa appare una questione lontana dalla vita quotidiana degli italiani, i suoi effetti possono influire anche sull’industria del nostro Paese che, anche se indirettamente, figura tra le vittime della politica dei dazi voluta dal presidente Donald Trump. Dati alla mano, l’accordo firmato oggi, 15 gennaio, alla Casa Bianca potrebbe però non bastare alla ripresa delle nostre attività manifatturiere, soprattutto nella filiera del settore auto.
A causa della limitata quota di mercato dell’Italia sul mercato cinese, pari circa allo 0,9 per cento, il nostro Paese rappresenta soltanto il quarto partner commerciale di Pechino nell’Unione europea, dopo Germania, Regno Unito e Francia, e il 24esimo nel mondo. Nonostante questo, i legami economici tra l’industria italiana e tedesca sono tanto importanti che le dinamiche del mercato cinese riescono a influire in maniera indiretta persino sul nostro Paese.
Gli effetti della guerra dei dazi tra Washington e Pechino, allargata in parte dall’amministrazione Trump anche all’Unione europea, hanno infatti avuto un impatto negativo su diversi settori, sia in Cina che negli Stati Uniti, in particolare sull’industria automobilistica, deprimendo le attività manifatturiere del relativo comparto tedesco e influendo quindi anche sulle esportazioni italiane.
Usa-Cina: fine della guerra?
Questa disputa commerciale, iniziata quasi due anni fa da Donald Trump, potrebbe ora essere entrata nelle sue fasi finali, grazie alla firma di un accordo tra il presidente degli Stati Uniti e il vice premier cinese Liu He, volto in particolare ad aumentare le importazioni del Paese asiatico di prodotti e servizi statunitensi, soprattutto in campo agricolo ed energetico.
Nonostante la natura preliminare dell’intesa da 86 pagine, questa cosiddetta “Fase 1” dell’accordo pone le basi per porre fine a 18 mesi di guerra commerciale, che hanno avuto un impatto negativo su centinaia di miliardi di dollari di scambi, rallentato la crescita globale e danneggiato varie filiere industriali internazionali.
Il solo raggiungimento di un’intesa potrebbe produrre di per sé frutti positivi sull’economia mondiale, anche se non sul lungo termine. Malgrado l’importanza della fiducia per la crescita economica, infatti, le reazioni emotive di solito non durano a lungo ed esauriscono abbastanza brevemente i propri effetti economici, senza contare che l’intesa non risolve le dispute in corso su temi tecnologici strategici come il 5G.
Inoltre, la maggior parte dei dazi finora imposti da Washington contro Pechino dovrebbero restare in vigore, mentre il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, ha fatto sapere che l’amministrazione Trump è pronta a riprendere la guerra commerciale se il Paese asiatico non rispetterà i propri impegni, un’eventualità già accaduta a maggio scorso, quando dopo una tregua decisa a dicembre 2018 le tariffe doganali statunitensi sui prodotti cinesi tornarono a salire.
L’accordo, raggiunto in via preliminare lo scorso mese, conferma la revoca dei nuovi dazi statunitensi previsti per il 15 dicembre scorso e abroga quelli già imposti sui telefoni cellulari, i giochi e i computer portatili realizzati in Cina, dimezzando poi l’aliquota tariffaria fino al 7,5 per cento su circa 120 miliardi di dollari di altri beni di consumo prodotti nel Paese asiatico, compresi televisori a schermo piatto, cuffie Bluetooth e calzature.
L’intesa non influisce, invece, sulle tariffe doganali, fissate al 25 per cento, su 250 miliardi di dollari di prodotti industriali e componentistica cinese importati dalle aziende statunitensi, che continuano a frenare soprattutto il settore automobilistico.
Gli effetti sulla Germania e sul settore auto
Sebbene la firma di oggi rappresenti un significativo passo in avanti nei negoziati tra Washington e Pechino, la filiera dell’industria automobilistica non figura tra i suoi beneficiari ed è proprio questo il settore che interessa maggiormente il nostro Paese, anche se in via indiretta. Questa strada passa in particolare dalla Germania, la principale destinazione delle esportazioni italiane, dove proprio oggi sono stati diffusi i dati sulla crescita economica per il 2019. Secondo Destatis, l’ufficio federale di statistica con sede a Wiesbaden, lo scorso anno l’economia tedesca è cresciuta soltanto dello 0,6 per cento su base annua, registrando il dato peggiore dal 2013, più che dimezzato rispetto al +1,5 per cento rilevato nel 2018.
Secondo le statistiche ufficiali, il rallentamento della crescita economica tedesca è dovuto soprattutto al netto calo delle attività manifatturiere, in particolare dell’industria automobilistica nazionale, danneggiata dalla disputa tra Washington e Pechino e già sotto pressione a causa del calo delle vendite e della transizione verso la produzione di veicoli più ecologici. Anche le prospettive per il futuro non sembrano rosee: sebbene l’economia tedesca abbia registrato una leggera ripresa nel quarto trimestre, gli ordinativi dell’industria hanno infatti continuato a diminuire alla fine dell’anno, mentre anche le esportazioni sono calate.
In qualità di terza potenza mondiale in termini di export, la Germania ha così subito un duro colpo a causa della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, entrambi mercati fondamentali per l’industria automobilistica tedesca e di riflesso per la filiera degli esportatori italiani.
Usa-Cina: accordo sui dazi. I contraccolpi sull’Italia
Il rallentamento della crescita tedesca ha avuto un effetto diretto sulle esportazioni delle imprese del nostro Paese. Secondo i dati dell’Osservatorio del ministero dello Sviluppo Economico, la Germania rappresenta infatti il primo partner commerciale dell’Italia, con oltre 44 miliardi di euro di esportazioni registrate nei primi nove mesi del 2019, in aumento rispetto ai più di 43 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente, seppur in calo in termini di peso relativo in confronto al totale degli scambi con l’estero del nostro Paese.
In particolare, la frenata dell’industria automobilistica tedesca ha comportato una minore domanda di componentistica, che ha danneggiato le esportazioni di una serie di aziende italiane del settore della meccanica. Secondo l’agenzia ICE, l’interscambio commerciale dell’Italia con la Germania si fonda infatti principalmente su macchinari, autoveicoli e componentistica per il settore auto.
A questo proposito, il monitor dei distretti industriali italiani elaborato da Intesa SanPaolo riporta un calo dello 0,7 per cento delle esportazioni nel settore della meccanica nel secondo trimestre del 2019, a fronte di una discesa generale dello 0,5 per cento dell’export distrettuale, dovuto soprattutto alle “difficoltà incontrate in diversi nuovi mercati e in due importanti economie mondiali, come la Cina e la Germania”. Tra aprile e giugno 2019, in particolare la metalmeccanica in Lombardia e nel Veneto, le cui imprese producono oltre il 40 per cento della componentistica montata sulle auto tedesche, ha registrato dati profondamente negativi, con cali delle esportazioni anche superiori al 5 per cento su base annua.
Nonostante il peso più limitato sugli scambi complessivi, la situazione è peggiorata anche dalla crisi delle esportazioni italiane in Cina (anche qui le nostre aziende vendono soprattutto macchinari), calate del 3,5 per cento in termini di variazione tendenziale nel secondo trimestre del 2019, un dato che non sembra destinato a migliorare a causa di un futuro molto incerto sul mercato cinese.
Le prospettive poco rosee del mercato dell’auto in Cina
Se l’allentamento delle tensioni commerciali tra Pechino e Washington, che insieme all’abrogazione degli incentivi all’acquisto hanno contribuito al calo delle vendite di auto in Cina, fanno ben sperare gli operatori del settore, le prospettive del mercato non sono positive. Nel 2019, l’industria cinese ha infatti registrato dati fortemente negativi per il secondo anno consecutivo e anche per il 2020 la situazione non sembra essere rosea. Secondo i dati diffusi ieri dall’Associazione cinese dei Costruttori Automobilistici (CAAM), lo scorso anno il settore automotive cinese ha registrato un calo dell’8,2 per cento, segnando nel mese di dicembre la 18esima discesa consecutiva dal luglio del 2018, mentre si prevede inoltre un ulteriore calo del 2 per cento delle vendite anche per il 2020.
Secondo un’analisi della piattaforma internazionale Global Fleet di Nexus Communication, le aziende cinesi del settore si troveranno ad affrontare un “violento” 2020, dovuto in particolare agli effetti della disputa commerciale con gli Stati Uniti, alla trasformazione dell’intera industria cinese da una a basso costo a una di alta qualità e alla mancanza di un importante salvagente come il settore del leasing.
E’ proprio il venir meno di quest’ultimo fenomeno infatti uno dei motivi della crisi del mercato cinese. L’industria del leasing ha infatti, in larga misura, salvato il settore automobilistico in Occidente in un periodo di forti cali delle immatricolazioni, aumentando i volumi delle vendite, migliorando i cicli di sostituzione delle vetture e portando a una professionalizzazione del comparto dell’usato. Al momento, la Cina non sembra scommettere su questo settore, passando direttamente da una fase di acquisto a una di ricerca di nuove soluzioni per la mobilità, un fenomeno dovuto in parte alle difficoltà di immatricolazione di un’auto privata e a un poco chiaro e instabile quadro normativo di riferimento.
Insomma, nonostante le voci di nuovi stimoli da parte delle autorità di Pechino al mercato, la crisi del settore in Cina e le prospettive fosche per il futuro non lasciano ben sperare i giganti dell’auto nel mondo, in Germania e di riflesso per i loro fornitori in Italia. Se una tregua commerciale sui dazi tra Stati Uniti e Cina nel prossimo futuro potrà forse dare una boccata d’ossigeno all’industria metalmeccanica del nostro Paese, le previsioni sul breve e medio termine non sembrano lasciare molte prospettive a un settore che, secondo l’Istat, impiega ancora almeno 700 mila persone in Italia e che oggi si trova a dover sperare non solo nella riduzione dei dazi statunitensi sui prodotti industriali, ma anche in programmi di incentivi da parte di Pechino e nella ripresa dell’industria tedesca.