Chissà se ci pensava, allora, quel giovane, che il suo calcolo sarebbe diventato un dogma, una legge che regola il bilancio e che detta i parametri di quanto uno Stato possa sforare annualmente in base alla ricchezza che produce.
Lo sentiamo tutte le volte che si parla di bilancio, il rispetto del 3 per cento di deficit sul Pil, ossia la differenza tra il gettito fiscale in entrata e le spese pubbliche sostenute da uno Stato rapportate alla ricchezza prodotta. Più semplicemente, spendere più di quanto si incassa e farlo, al massimo e non oltre, il 3 per cento della ricchezza prodotta dal paese.
Oggi ha quasi settant’anni quel signore che, poco più che trentenne, inventò senza saperlo quella legge temutissima alla quale ogni ministro del Tesoro deve inchinarsi.
Si chiama Guy Abeille, di professione economista, ed è una di quelle persone che scrivono la storia, in bene o in male questo è relativo, ma che comunque la scrivono.
All’Eliseo l’inquilino era Francois Mitterand. Aveva bisogno di uno scudo da opporre ai ministri che bussavano alla sua porta chiedendo di allentare i cordoni della borsa.
Furono incaricati due giovani, Dominique de Villepin e Abeille. Fu quest’ultimo a pensare alla più famosa delle percentuali che terrorizza le tesorerie del Vecchio Continente.
A ricostruire questa storia è stato qualche anno fa il quotidiano francese Le Parisien.
La spiegazione chiave dell’allora giovanotto incaricato di stabilire un paletto da non oltrepassare fu il dettato di esigenze del momento, che senza saperlo vennero poi scolpite nelle tavole delle leggi europee.
“Prendemmo in considerazione i 100 miliardi di franchi francesi del deficit pubblico di allora. Corrispondevano al 2,6 per cento del Pil. Ci siamo detti: un 1 per cento di deficit sarebbe troppo difficile e irraggiungibile. Il 2 per cento metterebbe al governo troppa pressione. Siamo così arrivati al 3 per cento. Nasceva dalle circostanze, senza un’analisi teorica”, raccontò lo stesso economista.
Le Parisien rivela anche un’altra ‘confessione’ del giovane allievo che oggi porta i capelli bianchi.
“Abbiamo deciso la cifra del 3 per cento in meno di un’ora. È stata decisa senza alcuna riflessione teorica. Mitterrand aveva bisogno di una regola facile per far fronte ai ministri che si presentavano nel suo ufficio a chiedere soldi da spendere. C’era bisogno di qualcosa di semplice. Tre per cento? È un bel numero, fa pensare alla trinità”.
La regola in Francia, per tutti gli anni ’80 con qualche singola eccezione funzionò.
Ne parlò, di questa storia, anni dopo, anche il Frankfurter Allegmeine, quotidiano tedesco dove l’austerità e la disciplina di bilancio sono il pane quotidiano.
Chi però rese la regola immortale nelle cancellerie europee, fu un altro francese, quello che metteva la firma sulle banconote prima di Mario Draghi: Jean-Claude Trichet.
L’ex governatore della Banca centrale Europea, prima di essere a capo dell’Eurotower in quel di Francoforte, fu governatore della Banca di Francia.
Trichet all’epoca convinse la Germania ad accendere il semaforo verde al paletto del 3 per cento.
“Il livello di indebitamento europeo all’inizio degli anni Novanta era circa il 60 per centro del Pil. La crescita nominale era circa il 5 per cento, e l’inflazione al 2 per cento. In questa situazione i debiti potevano crescere al massimo di un 3 per cento all’anno, per non superare la soglia del 60 per cento”.
Jean-Claude Trichet aggiunse tempo dopo che il 3 per cento è un parametro basato su un ipotesi di una crescita al 5 per cento.
“Purtroppo era troppo ottimista, come sappiamo oggi. Avremmo dovuto fissare dei limiti all’indebitamento differenti, perché la crescita successivamente si è rivelata inferiore”.
Una regola che Guy Abeille scrisse per la sua Francia che stava diventando troppo spendacciona, una norma che, scritta sulla sabbia, il mare del tempo avrebbe dovuto cancellare. Invece il mare si è ritirato, e la scritta sulla sabbia è rimasta. E da francese invece è divenuta europea.