Vittorio Feltri e il commento sugli zingari che non ti aspetteresti mai
Vittorio Feltri dice la sua sulla vicenda che vede coinvolti Matteo Salvini e una donna rom, chiamata dal vicepremier leghista “zingaraccia” e, più in generale, sugli “zingari”. L’editoriale del fondatore di Libero si apre con una forte presa di posizione contro il Pd.
Feltri attacca la reazione del Partito democratico e attacca l’indignazione degli esponenti dem per il termine utilizzato dal ministro dell’Interno, senza prendere in considerazione le parole gravi utilizzate dalla donna rom, dice l’ex direttore di Libero.
“Secondo i dem in sostanza è meno grave una pistolettata nelle tempie di un leader che ha utilizzato un termine ormai giudicato politicamente scorretto quale zingara o zingaraccia. Il che non indigna ma dimostra quanto la sinistra abbia perso il lume della ragione, ammesso che l’abbia mai avuto”, scrive Feltri.
Il fondatore di Libero coglie l’occasione allora per pubblicare uno stralcio di un libro mai dato alle stampe, in cui il giornalista dice che “un tempo si bruciavano i libri all’indice o comunque sgraditi ai dominatori conformistici del momento, e ora addirittura si fa la guerra alle parole, al vocabolario, come se il linguaggio tradizionale e popolare fosse da bandire”.
Feltri allora passa in rassegna una serie di episodi storici al cui centro ci sono incendi e distruzione di libri: da quello del 642, quando le truppe arabe che conquistarono l’Egitto incenerirono i famosi tomi di Alessandria a quello più recente dei nazisti che, tra il 1930 ed il 1945, bruciarono i testi di autori ebrei o scritti da oppositori politici.
Anche oggi, continua il giornalista, accade qualcosa di simile. “È bastata infatti una sola parola per disporre il ritiro immediato dal commercio di unmanuale giuridico contenente una raccolta di parerimotivati di diritto penale destinato a coloro che si apprestano a sostenere l’esame di abilitazione per l’esercizio della professione di avvocato, edito dal Gruppo Editoriale Simone e stampato nel 2011”, scrive Feltri.
Per spiegare il reato di “acquisto di cose di sospetta provenienza”, nel testo in questione si legge: “Quando, ad esempio,la cosa, nonostante il suo notevole valore sia offerta in vendita da un mendicante, da uno zingaro o da un noto pregiudicato”.
“Questo passaggio ha indotto la rom Dzemila Salkanavic a denunciare casa editrice ed autore del volume. A nulla sono valse in tribunale le spiegazioni dell’avvocato Visco, che ha sostenuto di avere utilizzato la parola “zingaro” senza alcun intento denigratorio, o razzista, riferendosi esclusivamente al nomadismo caratteristico della cultura rom, dunque alla difficoltà di fissare una dimora certa, elemento che può configurare il sospetto di incauto acquisto”, si legge ancora nell’articolo di Feltri.
Il Tribunale di primo grado di Roma ha condannato l’autore del testo: “L’associazione del termine zingaro alla commissione di reati controil patrimonio di fatto diffonde uno stereotipo negativo oltre che un preconcetto razziale privo di fondamento, stigmatizzando Rom e Sinti con evidente pregiudizio sociale”.
E ancora: “Sempre nel 2015 a finire nell’occhio del ciclone della censura fu il leader di Lega Nord Salvini, reo di avere utilizzato su facebook la parola “zingaro”. Unaleggerezza che il famoso social network non ha tollerato, bloccando il povero Matteo, che ha dichiarato in sua difesa: il termine “zingaro” non costituisce un’offesa, ma è un sostantivo di uso comune”, continua Feltri con gli esempi.
Ma Feltri sottolinea invece come il termine zingaro – che nel tempo ha acquistato una accezione prettamente negativa – racchiuda in realtà dei “significati stupendi”. “‘Zingaro’ è colui che viaggia, che non si ferma, che non mette radici da nessuna parte per la sua sete di conoscenza e per il suo desiderio di vivere. Gli zingari sonomusicisti, danzatori, artisti, che girano il mondo. ‘Zingaro’ ero pure io da ragazzo, quando rientravo più tardi la sera, lo sono stati i nostri figli, allorché dicevamo loro: ‘Questa casa non è un albergo'”.
E ancora, a sorpresa, Feltri continua: “Mi sembra quasi che i periodi più felici della nostra vita siano stati quelli in cui eravamo un po’ zingari e facevamo le zingarate come nelfilm “Amicimiei”. Poi abbiamo messo le tende, poi abbiamo fatto il mutuo, poi sono arrivate le grosse responsabilità edi grossi problemi, insieme all’Imu e alle bollette. Stiamo attenti a vietare le parole, perché potremmo perdere i loro significati più belli”.
In conclusione del suo editoriale, Feltri passa in rassegna tv e canzoni nostrane in cui la parola zingara viene utilizzata senza scandalo: dal programma televisivo “La Zingara” alla celebre canzone di Nicola Di Bari e Nada “Il cuore è uno zingaro”.
“Non oso immaginare quale potrebbe essere la sua versione moderna, quella che sarebbe anche politically correct. Magari oggi gli artisti sarebbero stati denunciati per avere usato il termine ingiurioso e razzista di “zingaro” all’interno di un brano cantato nell’ambito di un concorso musicale tanto celebre in Italia. E non mi sarei stupito nemmeno troppo qualora un giudice, nel caso in cui il brano fosse stato scritto oggi, avesse condannato i cantanti e disposto la censura di quella che è e resta una delle canzoni italiane più belle che siano mai state scritte”, conclude Feltri.