Esplorare l’Universo «con l’attitudine di chi sceglie, in primo luogo, la sfida dell’empatia, capacità esclusivamente umana di mettersi negli occhi degli altri soggetti viventi e di mappare, da queste variegate angolature, i bordi dell’ignoto contemporaneo». Queste le parole di Stefano Boeri, archistar e Presidente di Triennale Milano. La 23ª Esposizione Internazionale della Triennale ha aperto il 15 luglio e rimarrà visitabile fino all’11 dicembre 2022. Intitolata Unknown Unknowns, punta a proporre uno sguardo nuovo sullo sconosciuto. Come? Bandendo le polarizzazioni – luce/buio, pieno/vuoto, scienza/arte, spazio/tempo –; affrontando ciò che non conosciamo senza appiattirlo né filtrarlo, usando categorie preconfezionate; sfoderando l’entusiasmo della scoperta. Forse in tal modo, anche da adulti, riacquisiremo la capacità di meravigliarci e riusciremo a indagare la realtà puntando gli occhi al cielo, verso il mistero della materia oscura, o osservando gli oceani, gli abissi profondi e fuori dalla nostra portata. «L’ignoto diventa così una dimensione da vivere, non più in antagonismo con ciò che non conosciamo, ma elemento di stupore di fronte alla vastità di ciò che ci sfugge».
La mostra principale, che dà coerenza al resto dei padiglioni internazionali e alle mostre satellite, è curata da Ersilia Vaudo, astrofisica e Chief Diversity Officer all’Agenzia Spaziale Europea. La sezione dedicata invece alle partecipazioni internazionali è stata organizzata sotto l’egida del Bureau International des Expositions attraverso canali governativi. In totale le mostre e i progetti chiamano a raccolta 400 artisti, designer, architetti, provenienti da più di 40 Paesi; hanno aderito 23 nazioni, soprattutto è pregnante la partecipazione del continente africano, rappresentato da 6 padiglioni nazionali (Burkina Faso, Ghana, Kenya, Lesotho, Repubblica Democratica del Congo e Ruanda).
Francis Kéré – vincitore del Pritzker Architecture Prize 2022, il più importante premio internazionale per l’architettura – ha curato 4 installazioni per restituire alcune immagini e voci del continente africano. Per il Burkina Faso ha concepito The Future’s Present, una torre alta 12 metri, collocata nel piazzale davanti a Triennale. Questa struttura simbolica è decorata con reinterpretazioni odierne di motivi tradizionali, ricorrenti nell’architettura del Burkina Faso.
È fondamentale, in un momento delicato come questo, che si aprano le porte all’Altro abbandonandosi alla relazione col suo mistero. Unendo le forze, è possibile salvaguardare il più a lungo possibile quel poco che resta di sano e incontaminato sul Pianeta Terra. In quest’ottica, l’essere umano non può permettersi di perpetrare una violenza subdola e ignorante, né il dilagare di un individualismo deleterio. Gli episodi di razzismo, che dovrebbero essere confinati al passato ottuso – dell’imperialismo colonialista e dello schiavismo – come macchia indelebile e monito alle future generazioni, sono ancora attuali: lo dimostra l’omicidio del 29 luglio di Alika Ogorchukwu e la sua normalizzazione, «un immenso pubblico bianco (ne) ha permesso l’assassinio» (dal titolo dell’articolo di Wissal Houbabi e Marie Moïse su L’Essenziale).
Il concept che fa da trait d’union è, lo ribadiamo, l’Ignoto. Eppure, non è lo Sconosciuto in sé a porsi da cardine tematico, bensì lo sguardo che proiettiamo su di esso, il modo in cui lo accogliamo e ci affidiamo ad esso. Per Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries, Ersilia Vaudo sceglie di partire da un’opera di Adam Elsheimer, Fuga in Egitto (1609): si tratta di un dipinto poco più piccolo di un A4, in cui compare per la prima volta la rappresentazione della Via Lattea. La curatrice afferma: «Quando saremo nel buio totale, neanche con il telescopio più grande riusciremo a pensare che esistono altre galassie». La dimensione della scienza diventa così lo spazio infinito delle possibilità e della Poesia. L’Universo risulta agente creativo dalle inimmaginabili risorse e la Gravità si rivela “fabbro-artigiano”, in grado di plasmare e modellare la realtà, alla ricerca della perfezione: vediamo le opere in terracotta di Bosco Sodi, in parallelo alla fotografia di una cometa che vanta una strana forma “a paperella”. La scienza e l’arte vanno a braccetto, pensiamo agli acquerelli dello scienziato francese André des Gachons, che osservava il cielo tre volte al giorno e dipingeva per prevedere meteorologia, o alle installazioni luminose di Andrea Galvani in cui la matematica – strumento dal potente portato filosofico – è vista come uno spiraglio per decodificare l’astruso e affascinante linguaggio dell’Universo. La natura stessa ci restituisce una mole di immagini, rivoluzionando il nostro sguardo, rendendo sempre più acuta e libera la mente di chi è pronto a scrutare fenomeni fisici e metafisici senza freni e pregiudizi. La Missione Gaia – al lavoro dal 2013 e parte del programma scientifico dell’Esa – ha lo scopo di ottenere una mappa tridimensionale della nostra galassia. La mappatura raccoglie i dati di quasi due miliardi di stelle di cui viene presentata la composizione chimica, la temperatura, la massa, l’età, i colori e la velocità radiale. Gaia, il 13 giugno 2022, ha condiviso il Data Release 3 (DR3) con fotografie sorprendenti. Quest’indagine sta rendendo possibile la comprensione di come saranno i cieli in un lontano futuro e sta scovando esopianeti sconosciuti, come due Giove caldi alieni avvistati in un angolo remoto della nostra galassia. Su questo filone, l’opera di Refix Anadol propone una concettualizzazione estetica della collisione tra la galassia Andromeda e la Via Lattea, prevista tra circa 4 miliardi di anni.
L’allestimento della mostra è stato progettato da Space Caviar e realizzato da Wasp, usando stampa 3D e materiali poveri di origine naturale – derivati da sottoprodotti dell’industria agroalimentare -, sposando quindi un approccio non convenzionale. È previsto, inoltre, il riutilizzo di ciò che non è organico.
Oltre la mostra tematica, La Triennale ospita altre due grandi mostre: Mondo Reale, ideata da Hervé Chandès, Direttore Artistico Generale della Fondation Cartier pour l’art contemporain; e La tradizione del nuovo, curata da Marco Sanmicheli, Direttore del Museo del Design Italiano di Triennale. La tradizione del nuovo presenta circa 600 lavori e indaga l’attitudine alla ricerca di 4 generazioni di progettisti, donne e uomini che hanno segnato la storia del design italiano e internazionale. Si presenta come una teoria di porte dietro le quali si aprono altrettanti orizzonti: arte, scienza e ingegneria. La questione che si indaga è come il design abbia contribuito allo sviluppo della società toccando aspetti sociologici, commerciali, ecologici, tecnologici e culturali tra il 1964 e il 1996.
Mondo Reale della Fondation Cartier è invece immaginata, al contrario e a complemento di Unknown Unknowns, come «un atterraggio sul nostro pianeta» al fine di svelare i segreti ma anche le insidie, le ossature e le raffinate combinazioni che sottendono «alla sua imperscrutabile perfezione». L’arte funziona come una lente di ingrandimento: riesce a individuare i punti di sutura tra microcosmi opposti, le logiche organiche e inorganiche della natura, le peculiarità di ogni habitat, le problematiche antropologiche, sociali, ambientali, a restituire minuzie e gemme nella ferita dell’esistenza. Allo stesso tempo, permette di avere una visione a 360 gradi della realtà, vista come rêverie, esperienza estetica e contemplativa. Anche se la curiosità viene stimolata nell’osservatore, non si tratta di un’esposizione di sensazione, ma di emozione. L’allestimento è a cura di Formafantasma ed è a bassissimo impatto, in rispetto delle questioni ecologiche. Viene usata la carta per gli apparati divisori, la cui fragilità quasi pone in discussione la potenza delle opere, la struttura è leggera e poco impattante. Per separare gli spazi si è deciso di riciclare le pareti in cartongesso della precedente mostra, La vita moderna dedicata alle fotografie di Raymond Depardon. Il duo si è posto il seguente quesito: com’è la realtà nel contesto di un’esposizione artefatta? Coinvolgendo 17 artisti, il percorso si apre con l’opera Ring Master and Tics di Virgil Ortiz, artista Pueblo (New Mexico). È una figura in terracotta Cochiti che mescola fantascienza, visioni apocalittiche e cultura tradizionale. Da segnalare i due progetti speciali di Sho Shibuya e di David Lynch.
Portal of Mysteries è un grande stargate, collocato nell’atrio della Triennale, un varco che introduce al percorso espositivo. La videoinstallazione, concepita dal filosofo e scrittore Emanuele Coccia, è realizzata da Dotdotdot, in collaborazione con Studio Prop. Una bambina aliena si imbatte in un meteorite capace di trasfigurarsi in tutto ciò che costituisce la realtà. Diciotto monitor sono disposti in cerchio a costituire il portale, alto 4 metri. Questi schermi mostrano come esseri umani, buchi neri, piante e pezzi di design abbiano ciascuno un valore estetico ed estatico intrinseco. Si allude alla mostra che vuole essere arcipelago da esplorare e in cui perdersi, un invito ad oltrepassare il velo, allacciare le cinture di sicurezza per coabitare con il Mistero.
Il Corridoio rosso è a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, su progetto di allestimento di Margherita Palli. Sulla lunghezza di un misterioso corridoio, una serie di 4 porte si aprono su altrettante tematiche, ospitando ambienti di una fittizia casa borghese arredati con dipinti antichi e moderni. Gli elementi, come le maniglie di un bagno in stile etrusco, sono stati ricostruiti tramite l’impiego delle nuove tecnologie. L’intenzione dei curatori è restituire il brivido e la fibrillazione che si avverte esplorando il Cosmo. In una stanza ci si imbatte in un automa, preso in prestito dalle raccolte civiche di Settala (Milano). Sembra di immergersi in una Wunderkammer settecentesca: Leonardo disegna la luna accanto a Galileo, mentre un quadro raffigura il Diluvio Universale.
Il musicista e scrittore Francesco Bianconi ha preparato Playing the unknown: una canzone scomposta in 61 tracce. Il visitatore può ordinare a suo piacimento i frammenti per creare la propria versione, interagendo con una tastiera posizionata in una camera buia.
Alchemic laboratory è invece un luogo che guarda alle pulsioni creative di ogni genere, unendo le categorie di inerte e vivo, artificiale e naturale, esauribile e rinnovabile. Sono presenti muschi che vantano la capacità di produrre energia pulita.
Il Burkina Faso presenta un murales partecipativo, Drawn Together: i visitatori possono prendere parte alla co-creazione, guardando ai simboli dell’architettura vernacolare dell’Africa Occidentale, corredo delle tradizioni del villaggio del popolo Kassena. La Francia mette insieme una pianta di limoni, un data center fai-da-te e altri ventidue oggetti allo scopo di proporre un’ecologia senza natura, «ovvero una prassi delle relazioni fra ciò che produciamo e ciò che esiste già».
I Paesi Bassi offrono un catalogo di «atteggiamenti, tecnologie e strumenti organizzativi necessari a ricalibrare la relazione tra esseri umani e non umani»: un isolato urbano a Rotterdam, una fattoria rigenerativa nei territori agricoli dell’est del Paese e una piattaforma petrolifera abbandonata nel Mare del Nord. La Cina organizza un’installazione di bambù dorati, simbolo della sua cultura. L’opera è frutto di una ricerca trentennale che Weibing Liu ha svolto ai piedi del monte Qingcheng, culla del taoismo.
Poi ancora, la Repubblica Democratica del Congo guarda all’ambiguità delle proprie risorse territoriali. Lo scatto di Pamela Tulizo, sofferma lo sguardo sul paesaggio fluviale del Paese e sulla crisi legata all’approvvigionamento idrico. Il Kenya con ujumbe e i pesci scultorei dell’artista Louise Manzon pone i riflettori sull’inquinamento degli oceani, dovuto alla presenza massiva di plastica e rifiuti. La Germania allestisce nove radiogrammi che creano l’effetto di una doccia sonora, soffermandosi sulle lotte climatiche in atto e sulla giustizia ambientale.
Il Messico con Daniel Godínez Nivón propone Saggio di Flora Onirica, una proiezione olografica di una vegetazione che non esiste nella realtà. Dopo aver dato vita al laboratorio Propedeutica onirica, ha raccolto le testimonianze di un gruppo di ragazze dell’orfanotrofio Yolia di Città del Messico: sono i sogni delle partecipanti che hanno creato questo giardino botanico immaginario. Infine, è offerto un focus specifico sull’Ucraina, il cui padiglione è stato curato da Gianluigi Ricuperati, in viaggio a Bucha, insieme ad una delegazione di attivisti, intellettuali e fotografi.
Chiudiamo con una considerazione di Stefano Boeri: «Si dice conosciamo il 5 per cento dell’Universo, il 5 per cento delle mappature dei fondali oceanici, il 5 per cento delle sinapsi cerebrali. Le grandi crisi della storia ci hanno fatto capire che abbiamo perso la cognizione del 100 per cento: non sappiamo più quali siano i limiti veri della presenza della nostra specie sul Pianeta».
Quali saranno le prossime sfide e gli orizzonti da affrontare? Arte e Scienza faranno circolare le domande giuste e forniranno le risposte aperte più stimolanti, per prepararci allo Sconosciuto e a ciò che deve ancora venire, disegnando «un’esperienza profonda che darà la possibilità di rovesciare la nostra idea di mondo».