Il 5 luglio 2018 è stato assegnato il Premio Strega 2018. (A questo link abbiamo spiegato perché il Premio Strega si chiama così). A vincerlo è stata Helena Janeczek, con il suo romanzo La ragazza con la Leica, che racconta la storia di Gerda Taro, la prima fotoreporter morta su un campo di battaglia a 26 anni.
La serata di premiazione è stata condotta dalla giornalista di Rai 3 Eva Giovannini. TPI.it ha chiesto a lei di raccontare cos’è il premio Strega, e una riflessione sul mondo della cultura oggi in Italia. Ecco cosa ne è venuto fuori:
Come ti sei preparata al grande evento del premio Strega?
Stiamo lavorando da poco più di un mese, ho letto i libri che sono arrivati in finale, abbiamo preparato le domande, e ci siamo confrontati con gli autori. Ho letto anche altri libri che mi hanno aiutato a capire lo Strega, a capire cosa c’è dietro quel mondo, libri come La Polveriera, di Stefano Petrocchi, il direttore della fondazione Bellonci.
La polveriera è una definizione di Maria Bellonci, perché spesso il clima è stato incendiario.
L’ interesse delle case editrici, più che legittimo, a far vincere il loro libro, e le aspirazioni degli scrittori che sanno di giocarsi forse la partita della vita.
Qual è il libro della cinquina che ti è piaciuto di più?
Faccio fatica a rispondere alla domanda. Non saprei, mi sono piaciuti tutti i libri. Mi è piaciuto il modo in cui Carlo D’Amicis ha saputo raccontare in maniera verticale il sesso e questo triangolo erotico dei suoi protagonisti con una prosa rigorosissima che non ha risparmiato pagine di descrizioni più che esplicite, eppure mai gratuite.
Mi è piaciuto il libro di Balzano, di cui non conoscevo la storia, e mi sono sentita letteralmente soffocare dal riempimento di acqua che ha invaso questo paesino, che si chiama Curon.
Mi sembrava che salisse l’acqua anche dentro di me. Bravissimo nel restituire questa sensazione. Devo dire che i ritratti di Janeczek e Petrignani, delle rispettive protagoniste femminili, sono ritratti che da soli meriterebbero un’intera intervista, sono libri documentatissimi, c’è un ricamo di passione delle rispettive autrici che hanno raccontato queste donne straordinarie, Gerda Taro e Natalia Ginzburg. Quei libri sono un pozzo di conoscenza.
E poi mi ha colpito la banalità del male di Lia Levi, quanto si annidi nelle piccole cose il pericolo che poi diventa valanga. Sono tutti libri che mi hanno insegnato molto.
Dal 2003 una donna non vinceva il premio Strega. Che senso ha oggi la vittoria di Helena Janeczek, una donna che racconta una storia di un’altra donna molto particolare?
È un segnale importante nel mondo dell’editoria
Dopo 15 anni ha vinto una donna e ha vinto un editore “minore”, anche se fa parte di un grande gruppo, un segnale importante nel mondo dell’editoria. Ha vinto una storia non famosa, di una scrittrice donna e di una casa editrice che si è dimostrata molto competitiva.
Faccio mie le parole di Dacia Maraini, non ha più senso, se mai ce l’abbia avuto, parlare di letteratura di genere, le donne che scrivono diverse dagli uomini che scrivono, perché biologicamente diverse. Credo però che sia il punto di vista femminile, il dato culturale, che va valorizzato, e premiato come ieri sera.
Alla luce dei movimenti “femministi” di quest’anno, che hanno investito il mondo della cultura e del cinema, pensi che le donne in questo ambito siano ancora lontane dall’uguaglianza con gli uomini?
Non è un discorso superato, anzi. Mi rendo conto di quanto i diritti siano acquisiti per sempre e di quanto noi donne europee dobbiamo stare molto attente. Quello che sta succedendo in termini di restrizione dei diritti, penso per un attimo alle leggi polacche che vietano l’aborto e portano all’arresto delle donne.
Questo avviene in un paese europeo, integrato nell’Unione europea. In questo momento c’è un’onda conservatrice e reazionaria, che sul piano politico ama il claim della chiusura dei confini e del sovranismo e sul piano dei diritti civili vorrebbe tornare agli anni ’40, che dobbiamo conoscere e combattere culturalmente.
Il momento più divertente di questa avventura alla conduzione del Premio Strega?
Momenti di ilarità ce ne sono stati tanti. Durante le prove generali, quando si provano le interviste, gli autori si siedono al posto degli scrittori che la sera della premiazione saranno intervistati e recitano, fanno la loro parte. E questa cosa, per quanto fatta con serietà assoluta, dopo ci fa sempre molto ridere.
In questo momento storico che stiamo vivendo, sempre di più gli intellettuali vengono accusati di essere radical chic lontani dal paese reale. Che cosa ne pensi?
Nell’edizione di quest’anno c’è stato un richiamo voluto e cercato da parte degli autori, alla politica e al governo. Hanno fatto una lettera aperta per chiedere che fossero aperti i porti. Il mondo della cultura e dell’intellighenzia si è fatto vivo, ha bussato alla porta dell’attualità, è uscito dalla narrativa, per dire “noi esistiamo, abbiamo delle idee”, una presa di posizione forte.
L’epoca in cui viviamo è strana, ma come scrive Tom Nichols, professore di Harvard, nel libro “l’Era dell’incompetenza e il rischio per la nostra democrazia”, gli ignoranti, gli incompetenti, oggi rivendicano, sono quasi orgogliosi del loro status, ed è questa la vera novità.
C’è l’orgoglio dell’ignoranza. Io so di non sapere, socraticamente, un sacco di cose, ma non sono orgogliosa di non saperle, mi dispiace. E ammiro spudoratamente chi sa più di me. Invece oggi chi sa più cose, chi legge di più, chi è più colto, viene sbeffeggiato.
Nell’era dell’incompetenza, il professore, la persona più colta, è un radical chic, ed è una pericolosa menzogna. Nella grande bolla dei social media, si ha come la sensazione che ci sia una marea umana che non ha niente da dire ma ci tiene a dirlo assolutamente, ed è abbastanza inquietante.
La sottosegretaria alla cultura ha ammesso di non leggere un libro da 3 anni. Secondo te in che direzione sta andando questo governo nell’ambito della cultura?
Mi sembra una frase perfettamente coerente con la loro cifra politica. Loro rivendicano di essere detentori della volontà popolare e secondo loro il popolo non legge. I leader politici dovrebbero indicare la via, to lead condurre, invece adesso va di moda il contrario, i leader sono dei follower, si accodano alla massa, quindi non leggo. Si è invertito il processo e i risultati si vedono.
Qual è il libro che consigli per l’estate?
In viaggio contromano, di Michael Zadoorian, una storia bellissima, è la storia di un viaggio da cui è stato tratto anche un gran film.
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