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Cos’è l’ozio creativo secondo Domenico De Masi

Credit: AGF

Ecco un estratto del libro "Conversazioni sul futuro. L'eredità del più grande sociologo italiano" di Domenico De Masi e Giulio Gambino

Di Giulio Gambino
Pubblicato il 18 Ott. 2024 alle 16:18

«Abbiamo il lavoro, abbiamo l’ozio, ma abbiamo tutta una serie di fasi intermedie che prima non esistevano e che io chiamo ozio creativo. Dove un po’ lavoriamo, un po’ studiamo e un po’ ci divertiamo. È quello che in qualche modo si simula quando facciamo un pranzo di lavoro. Una cosa è il pranzo. Una cosa è il lavoro. Un’altra cosa è il pranzo di lavoro. Che non è né lavoro né pranzo. È un po’ tutte e due le cose.  Questa cosa non l’aveva studiata nessuno prima. Ti dico la verità. E non poteva avvenire prima perché, per farlo, serviva questo tipo di lavoro che è un lavoro intellettuale. L’operaio che stava alla catena di montaggio non poteva fare altro. Il lavoro prevalentemente basato sulla ripetitività (fare migliaia di copie dello stesso bicchiere) viene svolto perlopiù dalle macchine. Mentre agli uomini, invece, viene chiesto soprattutto di fare cose sempre diverse, cioè creatività. Questi sono la stragrande maggioranza dei lavori oggi. Ciò comporta cambiamenti totali. Perché non c’è più una fabbrica, tu puoi scrivere il tuo editoriale da qualsiasi parte del mondo, non c’è più un luogo preciso dove si lavora. In secondo luogo non c’è un orario preciso in cui si lavora. Il lavoro più è creativo, più è aleatorio, meno si può standardizzare. Io e te siamo destinati a fare sempre cose diverse. Il lavoro che fai tu, come quello che faccio io, è un lavoro che consente l’ozio creativo».

Il problema, però, è che oggi applichiamo ai lavori creativi (quindi la maggior parte) la stessa catena di montaggio dei tempi di Taylor e delle fabbriche…
«Certo. E infatti chi era l’operaio che usava creatività? L’artigiano (il fabbro, il falegname, il muratore, eccetera), che è un’unione di operaio e artista; era visto come pericoloso ai tempi della catena di montaggio. Nel senso che era estroso e se si inventava un’altra cosa rispetto a quanto previsto dalla catena bloccava tutta la filiera. Ora però, duecento anni dopo, con lo smart working i capi improvvisamente sono costretti a passare a un’organizzazione diversa che è l’organizzazione della creatività. Noi siamo stati abituati per due secoli circa a lavorare per eseguire. In modo sempre uguale, quale che sia la cosa che facciamo».

Questa mi sembra davvero la più grande rivoluzione.
«Corretto. Non a caso stiamo concentrando questa nostra conversazione, che vuole guardare al futuro e alla società che verrà, sul modello del pensiero creativo. Nel senso che ora che le macchine fanno il lavoro manuale, a noi esseri umani resta il lavoro creativo, solo che non sappiamo ancora organizzarlo perché ancora vigono le regole della vecchia catena di montaggio. E questo incide molto sul senso della vita, sulla felicità di ciascuno di noi e sul disagio che provano le persone, specie i giovani, oggi alienati e schiacciati dal mito del successo, laddove – semplicemente – le regole che prima potevano funzionare nella società post-industriale oggi non possono funzionare nella società della creatività. Per cui, ad esempio, sarebbe un errore voler applicare le regole della catena di montaggio anche alla redazione di un giornale. La tua rivista sarà tanto più produttiva quanto meglio è organizzato il lavoro. Se vuoi poi mi fai sapere… tante volte si può triplicare la produttività».

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