Non c’è una data precisa che segni la nascita di quella che potremmo definire “ toy culture”, sebbene si possa, senza difficoltà porre le sue origini agli inizi degli anni 90 con una localizzazione precisa nell’area di Hong Kong.
Ed è proprio nell’ex enclave britannico, ideale ponte culturale tra oriente ed occidente, che pare partire l’onda lunga, la new wave della toy culture e di quelli che vengono definiti i toys designer.
Questo tipo di produzione, che si pone a metà strada tra scultura, product design e merchandising, si nutre e cresce su differenti sedimenti: da una parte l’influenza della street art e della cultura visiva della west coast americana che, proprio in quel tratto che congiunge Los Angeles a San Francisco ha avuto, a partire dagli anni 70, una felice e prolifica stagione, dall’altra, invece, un rapporto molto forte con l’universo manga, con l’esperienza degli otaku – giovani ossessivamente appassionati di manga, anime e tecnologia – e con le sottoculture di origine orientale che si sono sviluppate tra Giappone e Corea che hanno portato all’affermazione di artisti e correnti artistiche di calibro internazionale come Takashi Murakami e la Kai kai Kiki, Yoshitomo Nara, MR o, in maniera non diretta, la Kusama, tanto per citarne alcuni.
Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di profonda ibridazione culturale, dove elementi di quella che potrebbe essere definita la cultura alta si fondono con istanze più tradizionalmente legate a quelle che vengono, in maniera ingenerosa, definite sottoculture. Il toy stesso come oggetto, che assume una dimensione di collezionismo e, di conseguenza, di feticcio, semanticamente sembra fondere al suo interno diverse ispirazioni o, meglio diverse origini: sia gli urban vinyl, i resin toys che i designer plush hanno, infatti, una origine comune con la produzione di giocattoli e bambole per l’infanzia ma si ibridano in maniera evidente incontrando il product design, il graphic design e il fashion design.
La scelta degli artisti e designer in mostra è esemplificativa proprio di questo percorso ondivago tra discipline differenti. Sono state infatti individuate delle personalità complesse che possono offrire con il loro lavoro una panoramica, seppur parziale, di quello che significa produrre toy e di quali sono le implicazioni culturali di questo tipo di produzione artistica.
Se da un lato la ricerca di Fidia Falaschetti pare apparire quella più marcatamente “artistica”, con un’ispirazione fortemente new pop, dove la dimensione del toy viene sublimata nella scultura di disneyana memoria o nella filologica ricerca sul cavalluccio a dondolo, introducendo una dimensione profondamente e marcatamente ludica che diviene cifra stilistica del suo lavoro, dall’altra, Simone Legno pare essere la personalità che maggiormente si identifica con la toy culture nella sua accezione più tradizionale.
Ed è proprio la produzione di Legno a darci il segno della complessità di questo universo ibrido e ibridante. A Legno, in arte Tokidoki si deve infatti una produzione a 360 gradi con interventi che vanno dall’abbigliamento, all’arredamento, dalla direzione artistica per campagne promozionali, alla realizzazione di concept visivi per hotel e negozi, non tralasciando interventi marcatamente street e urban.
Tokidoki diventa di conseguenza un universo di produzioni che si relazionano in maniera spontanea e continua con il design, con la comunicazione visiva, il marketing, senza nessuna necessità di stabilire confini tra le varie discipline.
All’interno di questi lines, segnati dall’artistico Fidia e dal giocoso Legno, possiamo inserire il lavoro di Giacon, anche lui ibrido per scelta e per vocazione, che si muove dall’ambito della grafica a quello del design passando per la scultura e che porta in mostra il suo presepe, una rilettura toy style della classica rappresentazione della natività che in Italia, a partire dal XIV secolo – si ritiene infatti che l’inventore del presepe sia stato San Francesco – arriva fino ai giorni nostri con punte di eccellenza nella tradizione sei-settecentesca del presepe napoletano.
E proprio con il presepe napoletano con i pupattoli e pupattole che lo animano e che ne sono i protagonisti, si mette in relazione il progetto di Giacon per Alessi, con quella nota autobiografica che gli è tipica.
Da ultimo, ma non ultimo, forse più fortemente e marcatamente erede della tradizione della west coast in controtendenza rispetto agli altri artisti che dimostrano una ideale discendenza dalla cultura orientale, si pone J.LEd, con i suoi rabbit feticcio un po’ punk e i suoi dipinti che rimandano a tutta l’evoluzione della street art americana degli ultimi anni con un marcato influsso dell’iconografia tipica della skate culture e delle hot wheels.
Un mondo, quello della toy culture, che trova nei nostri quattro Toy Boyz differenti accenti e una differente declinazione di questo universo che, pur essendo talvolta relegato in ambiti secondari e di nicchia, si sta dimostrando da più di vent’anni una delle più interessanti espressioni della cultura contemporanea.
L’Istituto Europeo di Design e Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles (IIC LA) curano NOT AN ARTIST – Toyboyz Edition, una mostra che indaga il fenomeno artistico del Toy Design attraverso il lavoro di quattro illustri personalità: Fidia Falaschetti, Joe Ledbetter/J.Led, Massimo Giacon, and Simone Legno/tokidoki.
La mostra mette in luce le espressioni artistiche di ognuno, i legami con diverse discipline creative, i modelli di business e le connessioni con le aziende di design come ALESSI, IKEA, KARTELL e le relazioni tra Italia e Stati Uniti.
La mostra si tiene a Los Angeles dal 6 giugno al 20 settembre 2018.
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