Dopo una vita passata a lottare per la liberazione delle donne e a sfidare gli uomini al potere, domenica 21 marzo la celebre femminista e psichiatra egiziana Nawal al-Saadawi si è spenta all’età di 89 anni in un’ospedale del Cairo, al termine di una lunga malattia. Autrice di oltre 55 libri, tradotti in più di 40 lingue, tra cui classici del femminismo arabo come Donne e sesso (1969), Dio muore sulle rive del Nilo (1989) e il romanzo Firdaus. Storia di una donna egiziana (1986), Saadawi si è a lungo battuta per far riconoscere come la spinta all’emancipazione femminile sia trasversale alle culture e alla storia, pagando spesso le conseguenze del suo attivismo.
Nata vicino al Cairo nel 1931, seconda di nove figli, Saadawi ha subito la mutilazione genitale all’età di sei anni e a 10 anni ha resistito al tentativo dei genitori di farla sposare raccontando di esserci riuscita anche grazie al sostegno della madre. A 13 anni ha scritto il suo primo libro per poi entrare all’università del Cairo a 17, dove ha preso parte alle proteste contro la Gran Bretagna. Laureata in medicina nel 1955, si è poi specializzata in psichiatria, lavorando prima come medico nel villaggio natale di Kafr Tahla e poi al ministero della Salute al Cairo.
“L’oppressione delle donne, lo sfruttamento e le pressioni sociali a cui sono esposte, non sono caratteristiche delle società arabe o mediorientali, o dei soli paesi del ‘Terzo mondo’ (…) Costituiscono parte integrante del sistema politico, economico e culturale, preponderante nella maggior parte del mondo”, ha scritto nella prefazione dell’edizione inglese del suo The Hidden Face of Eve (1977), sostenendo che anche se le donne in Europa e negli Stati Uniti non subiscono la rimozione del clitoride, sono comunque vittime di una mutilazione “culturale e psicologica”.
A seguito della pubblicazione del suo saggio Donne e sesso nel 1969, in cui ha denunciato proprio la piaga della mutilazione genitale femminile, è stata costretta a lasciare il suo incarico di direttore generale del dipartimento di educazione sanitaria del ministero della Salute nel 1972, con la chiusura l’anno successivo della rivista Health da lei fondata.
Nel 1975 ha raccontato nel romanzo Firdaus. Storia di una donna egiziana, l’incredibile vita di una prostituta condannata a morte che aveva conosciuto visitando il carcere di Qanatir nel 1974. Sette anni dopo, nel 1981 è stata detenuta a sua volta a Qanatir, dopo essere stata coinvolta in una retata contro dissidenti del regime di Anwar Sadat. Un arresto che ha attribuito alla pubblicazione Il volto nascosto di Eva (1977), in cui ha documentato le sue testimonianze dirette di abusi sessuali, “delitti d’onore” e prostituzione durante la sua esperienza di medico a Kafr Tahla. Durante la detenzione, usando un rotolo di carta igienica e una matita per gli occhi introdotta clandestinamente, ha scritto Memorie dal carcere femminile, pubblicato nel 1983, in cui ha come le detenute di estrazione diversa si siano alleate per migliorare le proprie condizioni nel carcere.
Rilasciata dopo la morte di Sadat, nel 1982 ha fondato la Arab Women’s Solidarity Association (AWSA), organizzazione femminile pan-araba a cui è stato riconosciuto lo status consultivo presso le Nazioni Unite.
Dopo aver ricevuto minacce di morte, Saadawi si è trasferita negli Stati Uniti nel 1993, dove ha insegnato alla Duke University in Carolina del Nord, prima di tornare in Egitto nel 1996, candidandosi alle elezioni presidenziali del 2004 e prendendo parte alle proteste della Primavera araba.
Spesso accusata di apostasia da gruppi religiosi, nel 2002 un avvocato islamista ha tentato di costringerla al divorzio da suo marito mentre nel 2007 è stata condannata anche dalla moschea di al-Azhar, massima autorità religiosa sunnita, con l’accusa di offendere l’Islam per i contenuti dell’opera teatrale “Dio si dimette all’incontro al vertice” (1996).
Leggi anche: Quella tentazione europea di abbandonare la Convenzione di Istanbul: i diritti delle donne sul viale del tramonto
Leggi l'articolo originale su TPI.it