Addio a Marc Augè. Antropologo, etnologo, scrittore e filosofo francese. Aveva 87 anni. Noto per aver introdotto il neologismo “non luogo” utilizzato per indicare tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Nato a Poitiers il 2 settembre 1935, Augé ha svolto ricerche etnografiche soprattutto in Africa e nell’America latina, ha diretto la prestigiosa École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, di cui è stato anche Presidente, e l’Istituto francese di Ricerche per lo sviluppo (IRD).
Marc Augè ha dedicato molti suoi lavori alla “mobilità” umana nel mondo, come Un etnologo nel metrò (1986) e il divertente Il bello della bicicletta (2008), ma la sua fama internazionale è legata soprattutto all’intuizione dei “non-luoghi” (Non-luoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, 1992).
“L’uomo è un animale simbiotico – scrive – e ha bisogno di relazioni inscritte nello spazio e nel tempo, ha bisogno di “luoghi” in cui la sua identità individuale si costruisca col contatto e grazie al riconoscimento degli altri”. I non-luoghi sono allora quegli spazi realizzati artificialmente per esigenze di scambio, dove l’individuo è un’unità priva di identità personale. Si pensi agli aeroporti, le stazioni ferroviarie, i grandi centri commerciali, in cui confluiscono e transitano ogni giorno milioni di persone, senza che questo enorme afflusso riesca a costruire relazioni significative. Qui l’individuo è solo, utilizza codici impersonali e segue regole di comportamento generali. I non-luoghi sono il prodotto della modernità avanzata o, meglio, nella definizione di Augé, della “surmodernità”: l’evoluzione della società per effetto della globalizzazione e del superamento della postmodernità.