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Luca Ribuoli a TPI: “Il cinema riparta dalla provincia. Ecco come nasce l’idea dell’Ottobre Alessandrino”

Di Anton Filippo Ferrari
Pubblicato il 8 Ott. 2024 alle 16:58 Aggiornato il 8 Ott. 2024 alle 16:59

“Il cinema riparta dalla provincia”. Luca Ribuoli, affermato regista di Call my agent, direttore artistico dell’Alessandria Film Festival e ideatore dell’Ottobre Alessandrino (dal 28 settembre al 31 ottobre 2024 ad Alessandria), ne è convinto. “Dobbiamo fermarci e dire che il cinema va di nuovo raccontato”. In tutte le sue sfaccettature: dalla scrittura al lavoro attoriale. Va rilanciato anche perché “è uno specchio. Un modo di riconoscersi, di vedersi”. Un’arte che da sempre appassiona milioni di persone come dimostra il successo dell’Ottobre Alessandrino, evento che usa la cultura anche per rilanciare un intero territorio.

Come nasce l’idea di dedicare un intero mese al Cinema?

“Mi hanno offerto la possibilità di fare il direttore dell’Alessandria Film Festival, giunto alla sesta edizione. Ma siccome c’erano 2 festival di cinema: uno di critica e uno, diciamo, più tradizionale come il mio, ho pensato di unire le forze. L’idea principale è stato di fare rete nel territorio alessandrino che è molto grande: Alessandria, Casale Monferrato, Acqui Terme, Ovada, Tortona, Novi Ligure… Insomma, città conosciute anche a livello nazionale. Così, avendo due festival vicini, abbiamo iniziato a tirare su eventi ed è arrivata l’idea di occupare l’intero mese di ottobre in quella zona per il cinema. Abbiamo tirato su 41 eventi che copriranno tutto il mese”.

Il festival cinematografico più lungo d’Italia.

“Sì, abbiamo raggiunto questo primato. Un mese intero di avvenimenti legati al cinema, ma che non è solo cinema: presentazioni di libri, script contest e tanti altri contenitori. Tutto con l’ottica di far lavorare il territorio, di esaltare le figure del territorio, ma anche di far conoscere il territorio all’intera Nazione. Abbiamo molti ospiti che arrivano ovviamente da Roma, la base del cinema, ma non solo. Vengono a presentare dei film, dei loro eventi. Uno in particolare a cui tengo molto è “Un anno di C’è ancora domani”. Il 26 ottobre infatti sarà un anno dall’uscita del film della Cortellesi e volevo fare un format che fosse un po’ un bilancio del film: tutti i premi vinti, gli spettatori trovati, il linguaggio usato e tutto quello che c’è stato attorno al film evento anche per il tema trattato. Parleremo di quanto il film ha cambiato la percezione e ha fatto parlare del tema della violenza sulle donne”.

Come mai la scelta di Alessandria? L’intenzione è quella di usare la cultura come volano per l’attività territoriale?

“Assolutamente sì. Soprattutto per una città che ha avuto degli anni difficili: l’alluvione nel 1994, il commissariamento del comune all’inizio degli anni 2000, la chiusura del teatro per amianto… La città aveva bisogno di un qualcosa che legasse tutto e che facesse parlare di cultura e la riportasse in provincia. Sta funzionando da dio. Siamo felicissimi. Tutti gli avvenimenti sono pieni. La provincia sta rispondendo alla grande”.

Qual è lo stato della cultura in Italia?

“Non è messa bene, soprattutto in provincia. Si è continuato a fare cultura in un modo molto locale, ma – in particolare riferendosi alla cultura cinematografica – le racconto una cosa: un ragazzino del liceo Eco, ci tengo a ricordare che Alessandria è la città di Umberto Eco, mi ha detto: “Siamo in 6 in tutto il liceo che andiamo al cinema”. Ho quindi capito che c’è un problema. Ho capito che il cinema non è più percepito come un evento, come qualcosa di importante che può aiutarti nella vita come ad esempio la letteratura. Su questa base ho creato con cinque istituti locali un progetto per incentivare la creatività, far conoscere il cinema a tutti i livelli creativi partendo dalla scrittura. Sono contento che, ad oggi, ci sono già 70 ragazzi iscritti. Questo mi rende molto felice. E’ un ottimo punto di partenza”.

Perché la gente non va più al cinema? E’ colpa solo delle piattaforme?

“Sì, le piattaforme hanno le loro “responsabilità”, ma anche noi abbiamo le nostre. Dobbiamo fermarci e dire che il cinema va di nuovo raccontato. Adesso arriva al pubblico, attraverso le piattaforme, come un qualcosa di preconfezionato, come se fosse prodotto dall’Intelligenza Artificiale. Parlando con i ragazzi mi sono reso conto che non c’è la percezione che loro con il telefonino, invece di usarlo per interagire sulle varie piattaforme, potrebbero girare un film. Hanno tutti i supporti tecnologici per poter produrre qualcosa di creativo. Sono anche il regista di Call My Agent e ho visto quanto ha interessato la chiave ironica delle star ma anche quanto interessa il dietro le quinte. Bisogna trovare la giusta chiave per tornare a far capire l’importanza del cinema e che valore può avere nella vita di tutti”.

Perché il cinema è così importante?

“Il cinema è uno specchio. Un modo di riconoscersi, di vedersi. E’ ovvio che è anche importante il tipo di storia che raccontiamo. Se non sono storie che possono arrivare a raccontare il presente allora è inutile. Raccontiamo delle storie in cui i giovani si possono identificare. Se ci fa caso i successi maggiori, ad esempio Mare Fuori, sono delle storie che vanno a raccontare una certa fascia d’età in un certo modo. Poi, certo, non ci sono solo i giovani. Servono racconti che ci mostrino come siamo oppure delle storie straordinarie. Serve un approfondimento maggiore rispetto a quello che scegliamo di raccontare se vogliamo che poi il pubblico ci si ritrovi in qualche modo”.

Cosa ne pensa delle mosse politiche del Governo Meloni sul cinema?

“Premetto che c’è sempre da capire cosa succederà. Vediamo come agiranno. Ad ora sospendo il giudizio. Giusto puntare il dito contro certi provvedimenti, ma bisogna anche fare autocritica e capire cosa possiamo fare per essere capiti meglio. Va però detto che questo un momento particolarmente difficile. Le piattaforme non producono più come prima. Nel momento in cui la bolla è un po’ scoppiata avere contemporaneamente anche una ristrutturazione del Tax Credit ha sicuramente influito in modo negativo sul nostro settore che ora è veramente messo male. Qualunque decisione sarà presa dovrà tenere in considerazione la visione globale che questo mondo sta pagando in questo periodo”.

Qual è il futuro dell’arte cinematografica in Italia?

“Io penso che dobbiamo essere più bravi a raccontare storie che ci rappresentano, in cui la gente si può riconoscere. E’ un ambizione su cui bisogna lavorare di più”.

Il cinema deve ripartire dalla provincia?

“Sì, lo penso. Alla fine, se ci pensa, sia la tv sia il cinema sono visti soprattutto dalla provincia. Negli ultimi anni abbiamo raccontato le grandi città che sono dei mondi a parte. Sì, è vero che Roma è anche provincia, Milano è anche provincia. Ma la provincia vera è un’altra cosa. Fonda i suoi meccanismi su desideri e ambizioni che sono molto difficili da far capire a chi non vive questi posti. A chi non ha respirato e vissuto qui. Il successo della manifestazione che stiamo portando avanti dimostra il fatto che gli abitanti della provincia italiana vorrebbero essere vicini agli eventi culturali. Ma purtroppo sono distanti. Quando però questi eventi arrivano da loro, loro rispondono subito presente”.

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