La prima luna storta, Giovanni B. Algieri arriva al Teatro Eliseo: l’evento
Giovanni B. Algieri al Teatro Eliseo: non è un nuovo racconto, ma una (bellissima realtà). Il giovane scrittore calabrese (esattamente di Corigliano Calabro) sarà protagonista di una splendida serata in compagnia del suo terzo romanzo, “La prima luna storta”.
Domenica 19 gennaio 2020, a partire dalle ore 19:00, Giovanni B. Algieri incontrerà il pubblico presso il foyer del Teatro Eliseo di Roma.
Si tratta della terza presentazione del suo nuovo romanzo, un tour avviato dapprima al Castello Ducale di Corigliano e poi al Palazzo Provincia di Cosenza. Quella romana è la terza tappa, che anticiperà quella milanese (presso l’Ostello Bello).
Una serata di grande sinergia che unisce la scoperta della giovane letteratura italiana al sapore della musica e all’importanza delle parole.
La prima luna storta, l’evento al Teatro Eliseo: gli ospiti
All’Eliseo, oltre al giovane autore, sarà presente Martina Martorano, speaker radiofonica nonché redattrice di Propaganda Live. Le letture delle vicende vissute dai protagonisti del romanzo “La prima luna storta” sono state assegnate ad Andrea Venditti (al cinema con “Non ci resta che il crimine”) e a Camilla Bianchini, attrice conosciuta sia a teatro che in tv.
L’evento sarà movimentato da un ospite a sorpresa, che verrà svelato soltanto durante l’arco della serata.
“Quel che voglio trasmettere ai miei amici e al mio pubblico è prima di tutto un formato che in Italia è ancora considerato letteratura minore, quello del racconto. Nel nord Europa e in America c’è invece una grande considerazione, da sempre, per la formula breve, che in Italia purtroppo fatica a decollare. Ma se noi italiani siamo riusciti ad accettare benevolmente, nel nostro immaginario cinematografico, la dimensione delle serie TV, sono fiducioso che prima o poi anche per la letteratura italiana la formula del racconto possa diventare un nuovo stile di vita e di quotidianità”, ha spiegato Giovanni Algieri.
«Se impari a volare» disse come se lui avesse le ali, «ti stacchi dalle onde».
La prima luna storta: il romanzo di Giovanni B. Algieri
A chi non è mai capitato di avere la “luna storta”? Il terzo romanzo di Giovanni Algieri spiega che avere la “luna storta” non è una colpa, è una sfida. A raccontarlo sono i suoi personaggi, protagonisti di vite ordinarie, talvolta dolci, talvolta amare.
Giovanni racconta le difficoltà di comunicazione in un agguerrito contesto familiare (e natalizio), poi racconta di un bambino che tenta misteriosamente di annegare a tutti i costi e l’hangover di tre disoccupati.
Di seguito, ecco tutti i racconti presenti in questa terza raccolta:
- Vediamo chi è più povero
- La prima luna storta
- Spiegare una situazione inspiegabile a una persona improbabile
- Punto e a capo
- La felicità bussa tre volte
- Girare il mondo non ti salverà
- Colpi di sfortuna
In Colpi di sfortuna, l’amore riappare in una componente imprevedibile, mischiandosi al magico mondo del cinema, dove il soprannaturale spunta lieve, come se l’intangibile facesse necessariamente parte, nostro malgrado, delle vite di ognuno di noi.
“Immersi in una folla che sbraitava e andava di fretta, stavamo fermi lì, docili e muti, invisibili agli occhi degli altri, a guardare la vita galoppare, come due scommettitori di cavalli.”
La prima luna storta, chi è Giovanni B. Algieri: l’intervista
Classe 1989, Giovanni B. Algieri è nato a Corigliano Calabro e si è laureato in Scienze Politiche, presso l’Università degli studi di Perugia, e ha poi conseguito una laurea in Comunicazione e Cinema presso la Luiss Guido Carli di Roma.
Non contento dei suoi studi in Italia, Giovanni ha frequentato per diversi anni la UAL (Università of the arts of London) nel Regno Unito e si è specializzato in sceneggiatura.
Oltre a essere uno scrittore, Giovanni è anche un regista: “Abiura” è il suo cortometraggio più famoso; è stato premiato al Barcelona Film Festival e al Los Angeles Film Awards.
“…già allora sapevo cosa significasse svegliarsi in una casa vuota quando si ha il cuore asfaltato.”
Chiacchierando con Giovanni della sua nuova opera, abbiamo scoperto che l’idea “nasce da un viaggio solitario di trenta giorni in Islanda. Un’esperienza interiore che mi ha spinto a voler raccontare l’importanza dei giorni grigi, ovvero quel periodo di tempo che si trova esattamente al centro tra un dispiacere e una ripartenza, il periodo che solitamente tendiamo a spingere, ad affrettare e con il quale, invece, dovremmo imparare a convivere, perché è proprio lì che costruiamo le fondamenta dei giorni a venire: i giorni delle nostre piccole rinascite”.
Ma a chi non capita di avere la “luna storta”? Secondo Giovanni, “Quando la luna è storta, la luce lunare non giunge sulla terra e lascia brancolare gli uomini nel buio. Io vivo sulla terra, e come tutti vivo delle giornate in cui davvero tutta sembra andare per il verso sbagliato. Esistono, queste giornate, io ci credo davvero, anche se, col passare degli anni, noto che va sempre più di moda vedere lune storte anche quando non ci sono…”.
Il mio sogno nel cassetto è continuare a raccontare storie esattamente come faccio oggi. Vorrei semplicemente girare i film che adesso sto scrivendo e scrivere i libri che ora sto pensando. Se dovessi immaginarmi tra qualche anno, mi vedo così: su un pullman,
su un aereo o su un treno, che, per lavoro, o sto partendo dalla Calabria, o sto tornando in Calabria. Insomma mi vedo tale e quale ad ora.
In questi giorni il mio nuovo cortometraggio “Viole’” – una commuovente storia contro la violenza sulle donne – ha iniziato a girare per i festival d’Italia ma, soprattutto, in questi mesi sono alle prese con il mio primo lungometraggio, una vera sfida con me stesso, non tanto per le difficoltà produttive, bensì per quelle narrative. Scegliere il tema e i protagonisti del primo film significa fare i conti con te stesso, e anche se è stata dura trovare la quadra, ora posso finalmente dire di avere la mia storia.
La prima luna storta, l’estratto del racconto “Punto e a capo”
Letizia mi lasciò senza motivo.
Stavamo insieme da due anni e un giorno quando, all’improvviso, entrò in una crisi muta e dolorosa della quale non mi rese partecipe. Diceva che neppure lei conosceva il motivo ma sentiva che era giusto così, e che ormai aveva preso quella decisione. Provai a strapparle spiegazioni di bocca per giorni, ma fu inutile.
Piangeva a dirotto e ripeteva che non sapeva cos’altro aggiungere all’infuori di ciò che mi aveva già detto, cioè nulla. Dunque fui costretto a tirar da solo le conclusioni di coppia e da quel momento mi rinchiusi in me, nella muta speranza di un suo ripensamento.
Passai due settimane in casa a rimuginare, a escogitare inverosimili soluzioni per aiutarla a capire che mi amava, senza mai interferire in maniera diretta. Volevo starle accanto da lontano e, nel frattempo, cercavo soluzioni e risposte dentro film strazianti che mi facevano immaginare le ipotetiche vite senza di lei per poi approdare alla fase successiva, forse la peggiore per l’autostima di un uomo: quella della giustificazione.
Mi ripetevo e ripetevo agli amici che Letizia era sempre stata una ragazza fragile e insicura e che non poteva essere, quella della crisi, una scusa per lasciarmi. Non è da lei, non mi farebbe mai una cosa del genere; lei non è così, può succedere a tutti, è giusto che rifletta; voi non la conoscete.
Attraversai queste fasi nel rettangolo del mio letto. Stritolai le mie cervella e straziai il mio stomaco.
Finiti i giorni della compassione, arrivarono quelli del rancore.
Ogni mattina, fissando la moka, mi ripetevo che era il primo caffè della mia nuova vita, ma dentro me, nei luoghi bui del corpo dove avvengono le decisioni vere, non facevo altro
che aspettare la fine della sua crisi e il ritorno alla mia vita di sempre. Restavo inchiodato a quel latente senso di provvisorietà.
Le settimane passavano e io provavo a rallentarle: non buttavo il cibo scaduto, non cambiavo le lenzuola per non contare le domeniche, non pagavo gli abbonamenti per non ammettere il primo mese senza lei. Poi un sabato pomeriggio di dicembre, quando meno me l’aspettavo, lessi la pagina di un libro che aprì un’enorme crepa di luce nel mio umore tetro. Le righe finali dicevano:
“Che si può fare dell’amore quando raggiunge questi livelli di disperazione, impotenza e concentrazione folle? Qualcosa verrà senz’altro a demolirlo”
Fu così che provai a demolirlo.
Presi il telefono e chiamai i miei amici con insistenza: avevo bisogno di uscire, di scoprire il mondo parallelo della notte che avevo lasciato da anni, ma in quel periodo nessuno dei miei conoscenti si lasciò convincere, ognuno immerso nella propria vita di coppia. Provai perfino con Antonio, il mio storico vicino di casa, scapolo per antonomasia, ma era a Formentera per lavoro e non aveva tempo da dedicarmi.
La demolizione andava complicandosi: dovevo cavarmela da solo.
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