Conosci i volti, anche se non riesci a ricordare i loro nomi: è il destino dell’attore caratterista, il coprotagonista, quello che ha poche pose magari ma che, anche se in disparte, ha qualcosa in più: la capacità di sostenere lo schermo, non solo di ricamare attorno ai bordi. È il destino di Andrea Bruschi, genovese, classe 1968, faccia da Gian Maria Volonté e versatilità assoluta, come confermano questi 20 anni di carriera in cui a partire dal “Partigiano Johnny” di Guido Chiesa, lo abbiamo visto in una quantità di ruoli davvero diversi, ma sempre significativi: dalle commedie (“Il più bel giorno della mia vita”, “Aspirante vedovo”) al dramma (“Chiara”, “Klem”) ai biopic internazionali (“Gucci”, “Ferrari”, “Lamborghini”) al thriller (“Here after”), fino alle serie “Lidia Poet”, dove l’attore new entry nella seconda stagione dal 30 ottobre su Netflix, interpreta un duca, il cui figlio s’invaghisce della nipote della protagonista (interpretata da Matilda De Angelis).
«Un personaggio particolare», ci racconta Andrea Bruschi al nostro incontro alla Festa del cinema di Roma, dove la serie è stata presentata in anteprima. «Faccio parte dell’aristocrazia sabauda, studio da lontano questa famiglia e questa donna, Lidia Poet, di cui tutta la città parla perché è all’avanguardia, è moderna e prova a cambiare le regole. Un ruolo molto interessante, del resto è simile anche a un altro personaggio reazionario, un ufficiale dell’esercito asburgico i cui panni ho vestito nella seconda stagione de “L’Imperatrice” sempre su Netflix a fine novembre, una bella serie anglo-tedesca sulla storia della principessa Sissi, che presenteremo a breve proprio a Berlino. Il mio personaggio è un lombardo molto fedele all’Imperatrice, che per una ferita è costretto ad abbandonare l’esercito e a ritornare in Italia. Recitato in tedesco».
Le serie rappresentano una grande opportunità per gli attori?
«Certo! Mi sono approcciato al mondo delle serie con grande entusiasmo perché oggi c’è veramente tanta possibilità, per un attore anche della mia generazione, di recitare su set internazionali, di approcciare ruoli fra i più diversi, recitare in altre lingue e lavorare con produzione straniere. Era qualcosa a cui ambivo fin da ragazzo e devo dire che ci sono riuscito. Sono anche nella serie “M” tratta dal romanzo di Scurati, diretta da John Wright, e presentata al Festival di Venezia, una cosa che fino a 15 anni fa era impensabile. Queste esperienze mi hanno permesso di lavorare in “Ferrari” con Michael Mann, uno dei più grandi registi della storia del cinema. Sono soddisfazioni grandi».
Con lo pseudonimo di Marti ha firmato testi e musica di tre album (Unmade Beds del 2006 – Better Mistakes del 2011 e King of the Minibar del 2017). Chi è nato prima l’attore o il musicista?
«La passione per la musica è andata di pari passo con la recitazione. Bisogna pensare che per la mia generazione nella passione per la musica trovavi tutto: letteratura, cinema, poesia. Andare al cinema o a un concerto era fondamentale, parliamo degli anni 80-90 non c’era la possibilità di riprodurre facilmente musica e film. I miei lavoravano e mia nonna portava me e mio fratello al cinema tutti i pomeriggi o ad ascoltare l’operetta. È solo con l’avvento di MySpace che abbiamo scoperto che tante persone nel mondo condividevano la stessa nostra passione. Ho cominciato a mettere su dei gruppi al liceo e a recitare al teatro di Genova, piccolissimi ruoli».
Quando queste passioni sono diventate una professione?
«Per la musica, quando ho cominciato a mandare dei demo delle mie canzoni alle case discografiche e a firmare i primi contratti con questo gruppo che si chiamava Broncobilly, con cui ho cominciato ad avere un certo successo. Facevamo Tecno Pop e a 19 anni ci siamo ritrovati a fare un tour in Giappone. Per quanto riguarda la recitazione è diventata una professione quando con il mio amico regista Lorenzo Vignolo, facemmo un corto, che vinse il Centenario del Cinema. Dopo questo premio partecipai ad una serie di provini e vinsi il mio primo ruolo importante nella serie Un posto al sole, il primo quello diretto da Gabriele Muccino».
Dopo questo primo ruolo ha fatto davvero tanti film, e la musica?
«Ho fatto tanti film in quel periodo però la musica è sempre rimasta nel mio cuore. In questo lavoro si fanno tante pause fra un’interpretazione e l’altra, fra un set ed un altro, così ho ripreso in mano la musica e la scrittura, perché per me raccontare storie è importante, è una necessità. Così nel 2006 misi in piedi questo progetto musicale con lo pseudonimo di Marti».
Perché Marti?
«Volevo un alter ego che fosse ben lontano e distinto dal mio nome vero, non volevo creare confusione perché in Italia c’è sempre questa idea che non bisogna mischiare i generi, almeno fino a qualche anno fa. L’attore che fa il cantante o il cantante che fa l’attore, viene sempre accolto con una certa diffidenza. Il primo disco uscì nel 2006 con i primi video su MTV. Il disco piacque a una casa discografica canadese e da lì è nato il mio percorso musicale europeo. Mi sono trasferito a Berlino dove tra l’altro hanno vissuto tutti i miei idoli, da David Bowie ai Depeche Mode, fino a David Sylvian».
In “Un Mondo fantastico” di Michele Rovini, a dicembre su Amazon Prime (Premiato come miglior film al Rome Independent Film Festival), interpreta un musicista deluso che da Berlino torna nella sua Genova.
«Sono molto legato a questo film delizioso e anche un po’ autobiografico perché anch’io sono tornato a Genova dopo tanti anni, ma soprattutto perché racconta una storia di amicizia e di musica. Interpreto Igor, un uomo colto e introverso che dopo una carriera da musicista fallito a Berlino torna a Genova e cerca di vivere dignitosamente facendo il supplente precario, ma arranca. Conosce Graziano (Diego Ribon) che al contrario ha un carattere estroverso, fa il commerciante ma è pieno di debiti ed è arrivato anche lui al capolinea. Due personalità complementari, che fanno leva sull’amore che hanno per la musica per mollare tutto, salire su un furgone e partire in cerca di un mondo fantastico».
Sta preparando un nuovo disco che uscirà nel 2025?
«Sì, stiamo registrando gli ultimi brani con la band (siamo in sei, tutti genovesi). È un concept album che si chiama Orchidea, ambientato a Genova in un nightclub del 1959. La copertina è di un grande fumettista che si chiama Andrea Ferraris anche lui genovese, e avrà dentro un fumetto. Ferraris è un grande, era il mio dirimpettaio quando eravamo piccoli, siamo molto amici. Ultimamente ha realizzato un film da una sua graphic novel in cui ha raccontato la storia dell’adozione di sua figlia che andrà a Sundance Festival. Ecco, può immaginare come sia felice che abbia deciso di partecipare al mio concept….tutto genovese».