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Benvenuti nel nuovo mondo: il futuro delle città? Sull’acqua

Credit: AP Photo

Il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato. Ma ha segnato nuovi record anche per l’innalzamento dei mari. Così si moltiplicano i progetti urbanistici che puntano sugli edifici galleggianti. Ecco come (e dove) potremmo vivere

Di Giulio Alibrandi
Pubblicato il 10 Mag. 2024 alle 09:43 Aggiornato il 1 Giu. 2024 alle 12:07

Per quanto riguarda il clima, il 2023 è stato l’anno dei record. Non solo, come confermato dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), è stato il più caldo mai registrato. Ma hanno superato i livelli massimi anche le temperature dell’oceano, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari.

«La comunità della Wmo sta lanciando al mondo un allarme rosso», ha avvertito la segretaria generale dell’Organizzazione, Celeste Saulo. «Quello che abbiamo visto nel 2023, in particolare con il riscaldamento senza precedenti dell’oceano, il ritiro dei ghiacciai e la perdita di ghiaccio marino in Antartide è motivo di particolare preoccupazione», ha aggiunto.

Lo dimostrano i numeri. Dagli anni ’80, ogni decennio è stato più caldo del precedente. Gli ultimi nove anni sono stati i più caldi mai registrati. Per quanto riguarda il 2023, ogni mese da giugno a dicembre è stato da record. Particolarmente preoccupante il mese di settembre, in cui il precedente record mensile è stato superato di circa 0,5 gradi: un margine definito «folle» dal climatologo Zeke Hausfather.

Dopo questa cavalcata, le temperature medie sono arrivate a 1,45 gradi sopra i livelli pre-industriali, più vicine che mai al fatidico limite di 1,5 gradi fissato negli accordi di Parigi. Una soglia considerata importante per limitare gli effetti peggiori del cambiamento climatico. Anche se molti esperti e attivisti danno per scontato che sarà superata, la tempistica con cui questo avverrà non è irrilevante. Quelle che da un anno all’altro possono apparire come piccole discrepanze, nei prossimi decenni potranno fare la differenza tra la sopravvivenza e la catastrofe per intere comunità o Paesi. Uno dei casi in cui è più evidente è l’innalzamento del livello del mare, una delle principali minacce del cambiamento climatico.

Da Giacarta a Lagos, passando per New York e Buenos Aires, numerose metropoli stanno facendo i conti con l’innalzamento inesorabile del livello del mare. Uno dei fattori che nei prossimi decenni, secondo la Banca mondiale, potrebbe spingere decine di milioni di persone a diventare “migranti climatici”. Un tema particolarmente sensibile nelle zone più esposte all’innalzamento dei mari, che cercano soluzioni adatte a una delle sfide del secolo.

Molti guardano ai Paesi Bassi come un modello per tenere sotto controllo l’innalzamento dell’acqua. Il Paese, per più di un quarto sotto il livello del mare, ha per secoli applicato l’ingegno per strappare terre al mare e difendere i “polder” e le città dalle inondazioni. Un esempio è il piano Delta, una serie di lavori avviati a seguito dell’inondazione del 1953 e completati nel 1997 con la barriera Maeslant, considerato l’oggetto mobile più grande al mondo. La barriera, che protegge la città di Rotterdam e il suo porto dalle inondazioni, è stata attivata una sola volta nel corso di una tempesta. È avvenuto lo scorso dicembre, quando l’acqua ha superato di tre metri il limite normale per l’alta marea.

Soluzioni adattabili
Non è un caso che provengano dai Paesi Bassi alcune delle soluzioni più discusse per convivere con l’innalzamento del livello del mare. Da più di 20 anni, il Waterstudio di Rijswijk, piccolo centro tra l’Aia e Delft, promuove l’idea di realizzare strutture e interi quartieri galleggianti. Nell’idea del fondatore Koen Osthuis, in futuro i Paesi Bassi dovrebbero lasciare al mare alcune delle terre che hanno conquistato nei secoli e fare spazio a una nuova idea di città, in maniera non dissimile da come i grattacieli hanno rivoluzionato gli spazi urbani nello scorso secolo. «È solo un aggiornamento», ha detto in un’intervista al New Yorker. I suoi edifici poggiano su fondamenta galleggianti realizzate con blocchi di calcestruzzo, che vengono ancorati sul fondale. Secondo Osthuis, i blocchi garantiscono stabilità ma allo stesso tempo sono liberi di fluttuare seguendo il movimento dell’acqua. L’obiettivo per il suo studio di architettura non è realizzare singoli progetti che si distinguano per la loro originalità, ma standardizzare la costruzione di edifici galleggianti, in modo da renderla replicabile su larga scala. Un’ambizione che in passato lo ha spinto a fare previsioni azzardate, fino a dichiarare che nel 2010 avremmo visto «città galleggianti in tutto il mondo». Per il momento, scrive il New Yorker, la maggior parte dei progetti del Waterstudio riguarda la costruzione di edifici di lusso.

L’occasione per mettere alla prova le sue idee su scala più grande sarà alle Maldive. Il progetto, dal costo di un miliardo di dollari, prevede la realizzazione di 13mila unità abitative che sorgeranno a un quarto d’ora in barca dalla capitale Malé. Una rete di piattaforme che si collocherà in una laguna protetta da banchi di sabbia e barriere coralline. Oltre a una parte di edilizia agevolata, il piano prevede alberghi e case di lusso. L’idea è nata dopo una storica riunione organizzata dal presidente Mohamed Nasheed, che nel 2009 aveva voluto incontrare i suoi ministri sott’acqua per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale. Nel 2050, l’80 per cento del Paese asiatico potrebbe non essere più abitabile a causa dell’innalzamento del livello del mare. La fine dei lavori è prevista per il 2028.

Altri progetti di Waterstudio avrebbero dovuto vedere la luce a New Jersey e Dubai, dove l’arrivo delle prime abitazioni galleggianti era previsto per il 2017. Sette anni dopo non sono ancora pronte. «Non è come costruire su terraferma», ha detto Olthuis al New Yorker, spiegando che è necessario essere «molto, molto pazienti».

Anche per i concorrenti i tempi si stanno allungando. Un altro progetto in attesa di essere realizzato è quello di una città galleggiante a Busan, la seconda della Corea del Sud, che ospita il porto più grande del Paese. Qui la newyorkese Oceanix vuole costruire una città galleggiante da 12mila persone, distribuite in piattaforme di forma esagonale ispirate ai favi delle api. Il progetto è stato presentato alle Nazioni Unite nel 2022 con l’obiettivo di completarlo nel 2025. I lavori però devono ancora iniziare e, secondo il co-fondatore di Oceanix, Itai Madamombe, non prenderanno il via prima della fine dell’anno.

Non mancano le voci critiche. Alcuni ricercatori hanno posto dubbi sulla fattibilità delle città galleggianti e sull’opportunità di finanziare progetti in mare di fronte agli sforzi necessari sulla terra ferma. «Non è affatto chiaro se ritirarsi in queste città capsula di 10mila persone ciascuna risolverà qualcosa», ha dichiarato a Bloomberg Kian Goh, docente di urbanistica della University of California, Los Angeles (Ucla). Questi progetti, confinati fino a qualche anno fa alle utopie tecno-libertarie di miliardari come Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e sostenitore della prima ora di Donald Trump, rischiano di essere inadeguati di fronte alle esigenze di trovare una sistemazione a milioni di persone come quelle a rischio in città come Giacarta.

Rischi concreti
Come per altre conseguenze del cambiamento climatico, anche nel caso dell’aumento del livello del mare gli esperti ritengono che sia necessario prima di tutto azzerare le emissioni di combustibili fossili che alimentano il cosiddetto “effetto serra”. Ma questo non basterà a fermare il fenomeno. Se anche tutti i Paesi del mondo dovessero smettere oggi di emettere gas serra il livello del mare continuerà ad aumentare per secoli a venire e rimarrà elevato per migliaia di anni. Questo a causa del riscaldamento che è già avvenuto e ha già alterato gli equilibri degli oceani. Azzerare le emissioni servirà piuttosto a evitare gli scenari più catastrofici.

La causa dell’innalzamento è da ricercare nello scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali ma soprattutto nel riscaldamento degli oceani, che coprono circa il 70 per cento della superficie del pianeta. Questi raccolgono la maggior parte del calore aggiuntivo che rimane sulla Terra a causa del cosiddetto “effetto serra”, rallentando il riscaldamento dell’atmosfera. Ma allo stesso tempo l’aumento delle temperature degli oceani accentua l’acidificazione dei mari, lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare.

Dagli anni ’80 del XIX secolo, l’aumento del livello medio del mare è stato tra i 16 e i 21 centimetri. Metà di questo innalzamento è stato registrato negli ultimi tre decenni ed è in accelerazione.

Anche sotto questo profilo nel 2023 è stato raggiunto un nuovo record. Nel periodo tra il 2014 e il 2023 la velocità di questo aumento è più che raddoppiata, con 4,77 millimetri all’anno rispetto ai 2,13 millimetri annui rilevati nel primo decennio di dati satellitari, quello tra il 1993 e il 2002.

Per il futuro l’Ipcc ha previsto diversi scenari, che prendono in considerazione la possibile evoluzione della società nel corso del 21esimo secolo. In quello più ottimistico, in cui i Paesi azzerano le emissioni nette e il riscaldamento al 2100 si limita a 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, a fine secolo il livello medio globale del mare aumenterà di 28-55 centimetri. Un altro scenario ipotizza un inasprimento delle rivalità tra le potenze che porti gli Stati a trascurare gli obiettivi climatici. In questo caso il riscaldamento sarà di 2,7 gradi, con un aumento del livello del mare di 44-76 centimetri. Nell’ipotesi di alto consumo di combustibili fossili il riscaldamento stimato a fine secolo è di 4,4 gradi, con un aumento di 63-101 centimetri del livello del mare. L’Ipcc considera anche uno scenario a «bassa probabilità ma ad alto impatto» in cui l’instabilità delle calotte glaciali spinge l’aumento dei livelli del mare sopra i 2 metri entro la fine del secolo. Quest’ultimo scenario metterebbe a rischio 790 milioni di persone, circa il 10 per cento della popolazione mondiale, secondo quanto dichiarato al Guardian dal fisico Jonathan Bamber.

I diversi scenari hanno che diventa sempre più considerevole con l’avanzare dei secoli. Nell’arco di 2000 anni, il livello medio globale del mare salirà di 2-3 metri nello scenario ottimistico, con il riscaldamento limitato a 1,5 gradi (al 2100). Se invece il riscaldamento arriverà anche a soli 2 gradi, l’innalzamento nei prossimi secoli potrebbe essere doppio, con una stima di 2-6 metri. Con un riscaldamento di 5 gradi, l’aumento nell’arco di 2.000 anni sarà di 19-22 metri, spazzando via interi Paesi.

Gli effetti nei prossimi decenni saranno difficili da valutare perché il livello non si alza allo stesso modo in maniera uniforme. Quello che sappiamo è che le prime a subire gli effetti dell’innalzamento del mare saranno le comunità costiere, in particolare quelle situate in aree basse e densamente popolate.

Questo problema è già in evidenza nella prima economia al mondo. Negli Stati Uniti un recente studio ha messo in risalto i rischi dall’affondamento delle coste, un aspetto spesso trascurato. Secondo la  ricerca pubblicata su Nature, decine di città lungo la costa stanno affondando a ritmi preoccupanti. Entro il 2050 fino a 1388 chilometri quadrati di terreni saranno esposti al rischio di inondazioni distruttive a causa dell’abbassamento del livello del terreno e dell’innalzamento di quello del mare.

Una delle principali cause è l’estrazione di acqua, che viene pompata più velocemente di quanto le falde riescano a riempirsi, una situazione aggravata dalla siccità. Altre cause includono l’estrazione di idrocarburi dal sottosuolo, l’attività sismica e la compattazione del suolo, dovuta anche alla pressione degli edifici.

Comunità a rischio
Lo stesso fenomeno minaccia anche metropoli molto meno ricche. È il caso di Giacarta, che negli ultimi decenni si è abbassata in alcuni punti di ben quattro metri. Recentemente nella capitale indonesiana, minacciata sia dall’abbassamento del suolo che dall’innalzamento del livello del mare, sono state erette dighe e barriere lungo le rive dei fiumi, nel tentativo di difendere i quartieri settentrionali dall’avanzata dell’acqua. Ma lo sprofondamento della città ha già contribuito alla decisione del governo di spostare la capitale nella nuova città di Nusantara, che sarà inaugurata il prossimo agosto.

il problema della subsidenza non è limitato alla capitale indonesiana. Secondo i dati di Climate Central, citate dall’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean), presto più di 66 milioni di persone nelle città costiere del Sud-Est asiatico vivranno sotto il livello del mare. Le città più interessate, oltre a Giacarta, sono Bangkok e Ho Chi Minh City.

Oltre a rafforzare le barriere artificiali il consiglio di molti esperti è di costruire strutture naturali, come le barriere coralline o le foreste di mangrovie. Queste agiscono come barriere naturali grazie alle radici e aiutano a dissipare l’impatto delle onde e delle maree oltre ad assorbire anidride carbonica, contribuendo così a rallentare l’innalzamento del livello del mare.

«L’affondamento delle città nella regione potrebbe essere peggiore di quanto si pensasse in precedenza e il numero di case situate al di sotto del livello medio annuo di inondazione potrebbe essere molto più elevato di quanto si ritenesse», ha dichiarato in un rapporto il Centro per l’energia dell’Asean.

Le stime della Banca mondiale indicano che al 2050 nell’Asia orientale 49 milioni di persone saranno sfollate a causa della crisi climatica. Un dato pari al 2 per cento della popolazione nella regione, secondo solo agli 86 milioni di rifugiati climatici previsti per l’Africa subsahariana.

Parlando di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha avvertito che a causa della crisi climatica il livello del mare si sta innalzando ai ritmi più veloci degli ultimi 3.000 anni e che questo porterà un «torrente di problemi» per quasi un miliardo di persone, da Londra a Los Angeles e da Bangkok a Buenos Aires.

«Comunità basse e interi Paesi potrebbero scomparire per sempre. Potremmo assistere a un esodo su scala biblica di intere popolazioni. E potremmo assistere a una competizione sempre più accanita per l’acqua dolce, la terra e altre risorse», ha detto Guterres. «I diritti umani delle persone non scompaiono perché lo fanno le loro case».

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