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Cristina Manetti e il suo romanzo “A Penelope che prende la valigia”: «Serve un cambiamento che sappia unire generazioni diverse»

Cristina Manetti e il suo romanzo "A Penelope che prende la valigia": «Serve un cambiamento che sappia unire generazioni diverse»
Di Anton Filippo Ferrari
Pubblicato il 26 Feb. 2025 alle 11:58

“A Penelope che prende la valigia”. Si chiama così il libro scritto da Cristina Manetti, giornalista, Capo di Gabinetto della Regione Toscana, Presidente del Museo Casa di Dante, ideatrice del progetto Toscana delle donne. Un romanzo epistolare in cui una madre scrive alla figlia dodicenne Penelope e alle sue compagne immaginando di riempire la valigia di parole che, se ben adoperate, diventeranno fatti, determineranno i cambiamenti e il loro futuro, così come è accaduto a molte donne prima di loro. Una metafora della vita della Penelope protagonista ma anche di tutte le ragazze, future donne, ancora in viaggio verso una meta paritaria e degna di rispetto.

Il suo è un romanzo epistolare in cui una madre scrive alla figlia dodicenne Penelope e alle sue compagne immaginando di riempire la valigia di parole. Come l’è venuta l’idea?

«Per cominciare, ho pensato davvero a mia figlia, che si chiama appunto Penelope. E da tempo sentivo il bisogno, se non l’urgenza, di trasmettere qualcosa a lei e a tutte le sue coetanee. Nei loro confronti siamo responsabili anche per quanto riguarda i troppi silenzi. E credo che invece le parole siano necessarie: metterle nero su bianco e cercare di farle arrivare sono già un modo di produrre cambiamento nel mondo e soprattutto di creare una comunità che questo cambiamento intende portarlo avanti. In questo caso un cambiamento che sappia unire generazioni diverse».

Come mai ha scelto come riferimento Penelope, la moglie di Ulisse?

«Penelope è un personaggio complesso, nel senso che nel tempo si è prestato a diverse interpretazioni. Ce n’è una molto semplice anzi semplicistica, che ci viene, direi, da una lettura maschile: Penelope è la moglie fedele che aspetta il marito che è via prima per le guerre e poi per un lungo ritorno. Ma io vedo un’altra Penelope, che senz’altro subisce i condizionamenti e le violenze di una società patriarcale – il mito ci racconta che già il padre la gettò in mare da piccola – ma che poi sa prendere in mano il suo destino e dare un altro verso agli eventi. Vedo in  Penelope, insomma, una sorta di prototipo della donna che combatte per la sua dignità».

C’è qualcosa di autobiografico nel suo libro?

«Del nome di mia figlia ho detto. Voglio aggiungere che i capitoli in cui si suddivide il libro girano tutti intorno a una parola chiave: ognuna di queste parole credo che in qualche maniera sia entrata nella mia vita abitandola come desidero, aspirazione, idea forte che mi emoziona e mi spinge a riflessioni e azioni».

Nel libro c’è una presa di coscienza, sentitissima dalle nuove generazioni, per liberarsi dai vincoli e dai ruoli imposti dalla società patriarcale. Quali sono questi vincoli? Sono ancora oggi così stringenti nel nostro Paese?

«Di sicuro tante cose sono cambiate dall’epoca in cui in Italia una donna non poteva esercitare una professione e nel codice penale esisteva il delitto d’onore. Eppure tanti sono ancora i contesti e i pregiudizi che condizionano la donna e si traducono in discriminazioni inaccettabili. Senza dimenticare quelle violenze che, ancora troppo diffuse, discendono da convinzioni proprietarie del corpo e della vita delle donne. La strada è ancora lunga, per quanto riguarda i diritti, ma anche per quanto riguarda la possibilità di manifestare il proprio talento o di vedersi riconoscere i propri meriti allo stesso modo degli uomini».

Lei ha ideato “La Toscana delle donne”, iniziativa che qualche mese fa ha visto la sua terza edizione, che ha l’obiettivo di accendere i riflettori sulla parità di genere. A che punto è il viaggio delle donne verso una meta paritaria e degna di rispetto in Italia?

«La Toscana delle Donne è un progetto di cui credo si debba essere tutti orgogliosi perché ha aperto un nuovo orizzonte e disegnato un nuovo modo di lavorare per i diritti delle donne, che attraversa ogni politica e ogni ambito della nostra società, puntando soprattutto su una rivoluzione culturale. Sembra un’espressione abusata ma è proprio di questo che abbiamo bisogno in Italia. Di una rivoluzione che metta in discussione i punti di vista e le gerarchie dei valori».

Lei ricopre un ruolo di prestigio in Regione Toscana (prima donna ad essere nominata Capo di Gabinetto). Una bella soddisfazione…

«Ringrazio di cuore il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani che mi ha dato la possibilità di misurarmi, anzi, di sfidarmi in questo incarico. Sicuramente una soddisfazione, però proprio il fatto di essere la prima donna a ricoprirlo mi ha investito di una particolare responsabilità, che sento quotidianamente».

Cosa si augura per le donne del futuro?

«Riprendo quanto dicevo prima. Di strada ne abbiamo fatta, ma la strada è ancora lunga. Soprattutto non c’è una strada data una volta per tutte. Attenzione, insomma, perché può funzionare come il Gioco nell’Oca, dove si ritornare al punto di partenza. Quello che auguro a Penelope e alle ragazze come lei, ma anche a me e alle donne della mia generazione, è che si vada sempre avanti. Con coraggio e tenacia, ma anche con allegria, magari esprimendo la bellezza della vita nell’arte, nella cultura, nelle relazioni sociali».

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