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“Non siamo davvero liberi perché regna l’ignoranza”: una conversazione del 2016 (ma ancora attuale) con Luis Sepulveda

Dopo la morte dello scrittore cileno, TPI ripropone una sua intervista rilasciata a Massimiliano Coccia, risalente a 4 anni fa

Di Massimiliano Coccia
Pubblicato il 17 Apr. 2020 alle 11:40 Aggiornato il 17 Apr. 2020 alle 11:55

“Non siamo davvero liberi perché regna l’ignoranza”: una conversazione del 2016 (ma ancora attuale) con Luis Sepulveda

Luis Sepulveda era un “compagno”, divideva la sua tavola con milioni di persone, che spesso e volentieri erano anche suoi lettori. Era monumentale, indigeno e dallo sguardo multiforme che sapeva aprirsi da una severa pensosità ad un sorriso luminoso. La sua morte è stato il timore che ha accompagnato i pensieri di tanti che sapendolo in terapia intensiva da fine febbraio hanno sperato che Luis avrebbe potuto raccontare anche questa.

Invece è morto, morto dentro una pandemia, morto incastonato nell’emergenza sanitaria più atroce della storia recente. Sepulveda è morto dentro la storia, tra le storie di chi non ha storia, non ha voce. Chi come me è cresciuto a cavallo degli anni 2000 ha scelto Luis Sepulveda in un tempo dove la passione politica e intellettuale erano tutt’uno e lo ha scelto per la capacità unica di tracciare una linea di coerenza tra politica, vita, amore, lotta, infanzia. I suoi libri stropicciati nei nostri zaini di adolescenti di ieri, consumati su treni e mezzi di fortuna, sono stati un pezzo essenziale della nostra educazione sentimentale, sono stati l’architettura morale nei nostri vent’anni portati “come si porta un maglione sformato su un paio di jeans”.

Luis Sepulveda era uno scrittore atipico, un combattente, una figura integrale di intellettuale, che non aveva un suo pubblico ma aveva un popolo composto da amici venuti da lontanissimo, giovani, operai, ragazzi, bambini, una enorme compagnia di giro che abbracciava il suo Lucho ovunque andasse. Nelle more di questo lavoro ho avuto la fortuna incontrarlo varie volte, di condividere con lui il pane al tavolo e di conversare pubblicamente.

Una delle ultime volte fu nel 2016 a Fara Sabina durante il Festival “Liberi sulla carta” diretto da Fabrizio Moscato, una conversazione che andò in onda sulle frequenze di Radio Radicale e che appare, nonostante il tempo trascorso, di incessante attualità perché Luis Sepulveda era la prova vivente che quando l’opera letteraria si sovrappone con la vita di un autore la traccia che viene lasciata nella comunità nel contemporaneo è profonda. Non un vezzo di maniera, non artificio di retorica ma la cosa più bella del mondo in grado di parlare ai bambini e agli adulti.

L’Italia è un Paese che ti ama particolarmente e che ha sempre avuto grande aspirazione dalla tua letteratura. Come l’hai ritrovata dopo qualche tempo di assenza?

In Italia vengo spesso anche per motivi personali, ho tanti amici e vedo che l’Italia vive uno stato di emergenza costante, come se lo stato naturale della società italiana fosse l’emergenza.

Negli ultimi tempi c’è stato un cambio della classe dirigente sia a destra che a sinistra, è emerso il Movimento Cinque Stelle, che idea ti sei fatto?

Il problema non sono gli amministratori ma il sistema capitalista nella sua espressione più brutale ovvero l’economia neoliberista. Fino a quando non cambieremo questo sistema sarà del tutto inutile pensare che cambiando i nomi della classe dirigente italiana, europea o mondiale potremmo avere dei risultati diversi. È come pretendere di fermare l’acqua che fugge con un dito.

La metafora è molto calzante. Luigi Di Maio, leader del Movimento Cinque Stelle (attuale Ministro dei Esteri, ndr) per attaccare Matteo Renzi ha dichiarato: “È come Pinochet in Venezuela”. Oltre l’errore grossolano cosa intravedi in questa dichiarazione?

È la dimostrazione che una parte consistente dei mali che infettano la società derivano dall’avere una classe politica profondamente ignorante e che fa della propria ignoranza una virtù. Queste persone hanno interesse per la storia come strumenti di propaganda personale e politico. Questo è davvero terribile. Come sai abito in Spagna e abbiamo una classe politica del tutto simile a quella italiana a dimostrazione che viviamo un male mondiale.

Ecco Luis, in Spagna cosa succede?

Niente. Non succede niente. C’è anche da noi una grande stasi, con il Partito Popolare invaso alla corruzione, una corruzione che nessuno spagnolo avrebbe mai immaginato, un partito di destra che non ha nessun progetto politico se non quello di rimanere al potere. Anche a sinistra le cose non vanno bene, c’è il rischio che i socialisti se non si innovano finiscano come il Pasok in Grecia, un patito che ha detto no ad un governo con la destra ma che non ha una prospettiva diversa di alleanze. C’è poi Ciudadanos che è un partito nuovo che ha raccolto tutti i pezzi di altri partiti, vorrebbe riformare la politica in un modo così strano che gli spagnoli non l’hanno capito alleandosi prima con la destra e poi con la sinistra. Infine c’è Podemos che è una forza nata dagli indignati dal 15M a Madrid con un’idea molto bella, con uno spirito di rappresentanza della cittadinanza ma senza un programma. E questo è un problema grave. Questa è la realtà. Non succede nulla in Spagna.

Il populismo sta svuotando la democrazia e le libertà. Davanti ad una crisi economica globale si restringono i diritti e le libertà. Forse siamo liberi sulla carta, ma la libertà ci appartiene veramente come cittadini europei, come cittadini dei nostri stati e del nostro mondo oppure è solamente un’idea svuotata e meccanizzata ormai?

No, credo che siamo liberi in modo individuale. La libertà è vera se è responsabile e consapevole. Il problema è che questa libertà che viviamo è circondata da una grande mancanza di conoscenza perché l’ignoranza la fa da padrone. Ogni problema ha una radice politica come ad esempio il terrorismo internazionale che esiste in conseguenza di determinate azioni compiute dall’Occidente in Iraq, Afghanistan, Libia ovvero violentare drasticamente l’equilibrio politico di questa regione in una epoca determinata senza pensare nelle conseguenze. Il motivo di questa scelta è stato economico e si chiama petrolio. E l’altra parte del problema è che il sistema non ha una base etica per funzionare e questo è un pericolo per la libertà di tutti.

In questo contesto a farne le spese sono i più deboli e tra i più deboli ci sono i bambini. Quanto stiamo accudendo l’infanzia e quanto la scarsità di investimenti sulla scuola ci potrebbe portare ad avere cittadini peggiori rispetto a quelli che già abbiamo in circolazione e quanto in questo la letteratura può essere salvifica?

Credo che la letteratura o una parte della letteratura può fare qualcosa. L’infanzia è maltrattata dal punto di vista delle istituzioni, dalla società che non funziona ma per fortuna la stessa società ha un corpo di agenti segreti, di attivisti dei diritti dei bambini che si chiamano insegnanti. Io ho trovato in Spagna, in Italia, in tutto il mondo, un corpo che è veramente quasi clandestino di insegnanti che lottano per qualcosa di bellissimo che sono i diritti dei bambini, i diritti dei bambini che hanno diritto ad una formazione buona, a conservare il piacere del gioco. La cultura ufficiale invece l’infanzia la maltratta e la ritiene una parte molesta della società.

Guarda, si dimentica che una parte fondamentale della costruzione di un futuro cittadino è la prima socializzazione e che questa socializzazione avviene nella prima fase dell’infanzia, e si pretende rimpiazzare questa socializzazione dicendo al bambino “guarda, se vuoi divertirti qui c’è un tablet, un gioco elettronico. Se vuoi fare qualcosa qui c’è questa meraviglia che si chiama internet per fare qualcosa. Non si incentiva quella socializzazione che invece è giocare insieme, il senso di appartenenza ad un gruppo, il giocare nella collettività che invece è la parte più sana dell’infanzia. Ripeto che per fortuna, credo che si possa parlare una grande quantità di genitori che sono persone ragionevoli, esiste questa sorte di esercito nella clandestinità che sono gli insegnanti, questo esercito mantiene l’interesse di fare del bambino un essere umano felice in una fase della sua vita e così di renderlo un cittadino responsabile.

Il carcere diventa sempre di più una pattumiera sociale e verrebbe da pensare che la politica col suo disinteresse sia parte del problema, rimangono solo le figure religiose come quella di Papa Francesco ad occuparsi di alcuni mondi.

La politica ormai tende ad estremizzare tutte le disuguaglianze e condanna ad una nuova carcerazione le persone anche quando escono dalle prigioni. L’atteggiamento del potere nei confronti delle persone recluse è sempre diverso e dove la giustizia non funziona è perché la politica non vuole che funzioni così può esercitare in modo ancora più forte il suo potere. Per questo motivo non sono d’accordo con l’amnistia perché è sempre lo Stato a dire chi può essere perdonato e chi no e di solito perdona sempre i potenti, i banchieri, gli industriali, chi non ha pagato le tasse, chi invece ha rubato una gallina non conosce mai l’amnistia, io non sono d’accordo, con questo. Papa Francesco è una figura rispettabile dal punto di vista delle religiosità, ma da agnostico credo che la Chiesa abbia il diritto di intervenire nel dibattito sociale e morale ma questo diritto non deve essere la scusa per esercitare un potere parallelo a quello civile. Non mi riferisco solo alla chiesa cattolica ma a tutte le confessioni. Alle volte con la scusa di aiutare gli ultimi si gestisce un potere alternativo.

In conclusione Luis, il tuo mestiere di scrittore e di intellettuale è fatto di giornate come queste dove tanta gente viene ad ascoltarti, però come ogni scrittore non vedi l’ora di tornare al tavolo di lavoro. Cosa stai scrivendo e cosa uscirà a breve?

In questi giri mi accompagna la mia carissima amica e traduttrice Ilde Carmignani che sta lavorando alla traduzione di un romanzo che uscirà a breve. Un romanzo contemporaneo, un romanzo in cui la storia inizia nella Russia del 1917 e nel Chile nell’anno 2010, una sorta di lungo viaggio di un personaggio che nasce in Russia e arriva in Chile e che adesso vive, è reale, e che è diventato uno dei peggiori criminali che hanno violato i diritti umani in tutta la storia dell’America Latina. Questo romanzo si chiama “La fine della storia” ed uscirà sempre per Guanda. Sì, sì è vero c’è sempre voglia di tornare a scrivere.

 

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