“Se sei donna e puoi votare, ringrazia una femminista”, è una delle frasi che campeggia sui muri di Bologna nell’ambito della campagna Cheap.
La scritta relativa al suffragio universale è affissa su un muro dell’autostazione di Viale Masini a Bologna, insieme alla grafica di una mano che inserisce la scheda di voto nell’urna elettorale, ed è solo uno dei circa 40 poster appesi sui muri del capoluogo dell’Emilia Romagna nell’ambito della campagna di Cheap, un progetto di street art attivo a Bologna dal 2013 e fondato interamente da donne.
La campagna femminista ricorda ai passanti, attraverso poster con scritte a caratteri cubitali, che se una donna può divorziare, leggere i libri che desidera, utilizzare anticoncezionali, indossare i pantaloni, andare all’università, interrompere una gravidanza, avere uno stipendio o testimoniare in tribunale in difesa di terzi, è merito di una femminista.
“Se sei donna e puoi utilizzare anticoncezionali, ringrazia una femminista”.
E ancora: “Se sei donna e puoi denunciare molestie sessuali, ringrazia una femminista”.
La campagna di street art è stata ideata da una piattaforma internazionale che promuove il femminismo attraverso l’istruzione e la comunicazione, la “School of femminism“, con il progetto “Thank a feminist”, ringrazia una femminista, appunto, che ha reso disponibili i messaggi di ringraziamento online in diverse lingue, dallo spagnolo all’italiano.
E sui muri di Bologna le scritte campeggiano in italiano, ricordando i diritti conquistati dalle donne nel tempo in Italia, da quello al divorzio con il referendum del 1974 a quello sull’aborto del ’78, dall’istituzione del suffragio universale nel 1945 alla legge del 1971 che liberalizzava il commercio degli anticoncezionali
Eppure, tra i quaranta poster della campagna femminista, spunta un’incongruenza sui muri: uno dei manifesti recita “Se sei donna e puoi praticare uno sport professionistico, ringrazia una femminista”.
Ma in Italia, atlete come Paola Egonu della nazionale di pallavolo o Aurora Galli della nazionale di calcio non sono riconosciute come professioniste nonostante pratichino i rispettivi sport a livello professionistico: nel nostro Paese, infatti, tutte le atlete sono inquadrate giuridicamente come dilettanti. L’unica legge che disciplina la materia (91/1981) non distingue il dilettantismo dal professionismo. E le poche federazioni che riconoscono al proprio interno il professionismo – quella di Calcio, Basket, Golf e Ciclismo – lo fanno solo per certi livelli e per gli uomini.
Le atlete tesserate presso una federazione nazionale riconosciuta dal Coni sono quindi giuridicamente inquadrate come dilettanti, e nessuna disciplina tipicamente femminile prevede una categorizzazione professionistica. Tutto questo si traduce in una netta disparità di tipo economico, contrattuale, sanitario, assicurativo e di carriera.
Ma il collettivo Cheap fa sapere che il suo non è un errore. Attraverso il manifesto, il collettivo vuole ricordare che sono necessarie altre lotte, come quelle portate avanti in passato per progredire nel riconoscimento di pari diritti a donne e uomini.
Lo staff scrive così sulla sua pagina Facebook: “Il poster è un errore? CHEAP preferisce pensare che sia un memo: il femminismo è più che mai necessario, così come è necessario ricordare che i diritti delle donne sono stati conquistati attraverso anni di lotte politiche e sociali per cui dovremmo tutt* ringraziare chi le ha guidate”.