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Camilleri era cieco e ci vedeva benissimo

Andrea Camilleri è morto mercoledì 17 luglio 2019 a Roma. Credit: Afp / Ulf Andersen / Aurimages

Quel coraggio di non slegare la scrittura dal presente. Di non scegliere la via più comoda

Di Giulio Cavalli
Pubblicato il 17 Lug. 2019 alle 13:13 Aggiornato il 17 Lug. 2020 alle 07:47

Si è addormentato il maestro. Andrea Camilleri è partito verso quella morte che non gli faceva paura. “Ma dopo non c’è niente. E niente di me resterà: sarò dimenticato, come sono stati dimenticati scrittori molto più grandi”, disse in una intervista. Ma Camilleri amava l’iperbole molto di più di quanto lasciasse intravedere, lui che le parole si è ritrovato a curarle e appoggiarle in giro per sentire il mondo e per avere la direzione, come se fossero il suo bastone da cieco.

Era un cieco che ci vedeva benissimo, annusando il presente senza bisogno degli occhi e poi riportandolo nelle pagine che dettava alla sua fedele assistente. Anche questa una scena da romanzo. Della sua cecità aveva fatto un gioco letterario, con l’ironia di chi è soddisfatto di quello che è e di quello che è stato, senza mai recriminare su un riconoscimento arrivato tardi e sui quei dieci editori che rifiutarono il suo primo romanzo finito stampato da un editore a pagamento, che per Camilleri stampò gratis.

“Da quando non vedo più, i pensieri tinti mi visitano più spesso. Cerco di scartarli; però tornano. A volte mi viene la paura del buio, come da bambino. Una paura fisica, irrazionale. Allora mi alzo e a tentoni corro di là, da mia moglie. Per fortuna ho Valentina Alferj, a cui detto i libri: è l’unica che sa scrivere nella lingua di Montalbano, anche se è abruzzese. Fino a poco fa vedevo ancora le ombre. Sono felice di aver fatto in tempo a indovinare il viso della mia pronipote, Matilde. Ora ha tre anni, è cresciuta, mi dicono che è bellissima, ma io non la vedo più. Di notte però riesco a ricostruire le immagini. L’altra sera mi sono ricordato la Flagellazione di Piero della Francesca. Ho pensato all’ultima volta che l’ho vista, a Urbino, e l’ho rimessa insieme pezzo a pezzo. È stato meraviglioso”.

Ma Camilleri è stato anche uno dei (pochi) scrittori che non si è mai tirato indietro nella sua responsabilità politica derivante dal suo essere personaggio pubblico. Non ha rinunciato a comporre una poesia contro Silvio Berlusconi in piazza Navona (“Ha più scheletri dentro l’armadio lui/ che la cripta dei cappuccini a Palermo/ Ogni tanto di notte, quando passa il tram/ le ossa vibrano leggermente, e a quel suono/ gli si rizzano i capelli sintetici/ Teme che le ante dell’armadio si aprano/ e che torme non di fantasmi ma di giudici in toga/ balzino fuori agitando come nacchere/ tintinnanti manette…”), ha irriso D’Alema (“un bruco coi baffetti che pilotava ‘na varca sia pure fatta di foglie… Dicivano macari che era ‘ntelligenti, ma grevio e scostante…”), prese posizione contro Renzi e contro Salvini.

Non temeva di perdere vendite e lettori, Andrea Camilleri, non rinunciava mai a raccontare storie e dietro al suo commissario Montalbano, sullo sfondo, ha raccontato il mondo che lo circondava. Era cieco e ci vedeva benissimo. Buon viaggio, maestro.

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