In attesa di Boris 5 (pare proprio che si farà, anche se tutte le bocche restano sigillate) la famiglia del telefilm più rivoluzionario della televisione italiana resta unita, e continua a saltare da una cornice all’altra.
Dopo la televisione, il cinema e le piattaforme, nei giorni scorsi è approdata infatti su un campo da calcio e a teatro.
Il 23 aprile la squadra di Boris ha sfidato la Nazionale Poeti al Centro Sportivo Eschilo di Roma, per ricordare Mattia Torre (uno dei tre autori della serie, scomparso nel 2019) e sostenere la Fondazione Antea.
La squadra, capitanata da Francesco Pannofino e allenata da Pietro Sermonti (che ha un passato da calciatore professionista) ha visto in campo, oltre ai i protagonisti della serie (con il nome dei loro personaggi sulla maglia), anche amici come Valerio Mastrandrea (che recava il nome “Stocazzo” e il numero infinito) e Paolo Sorrentino, con il nome “Garrone” (il premio Oscar nel 2010 ha preso parte ad una puntata in cui tutti lo scambiavano per il regista di “Gomorra”).
Tre giorni dopo al teatro Cometa Off ha debuttato Un giorno come un altro, scritto e diretto da Giacomo Ciarrapico (autore e regista di Boris) e interpretato da due dei protagonisti della serie: Luca Amorosino e Carlo De Ruggeri, entrambi alle prese con personaggi molto simili a quelli che li hanno resi celebri.
Se nella serie Amorosino è un aiuto regista che spaccia cocaina, qui è il titolare di un sito di scommesse, mentre il Ranuccio di De Ruggeri – come Lorenzo – è un “secchione” al tempo stesso frustrato, represso e ambizioso, stagista e operatore in televisione, ricercatore medievista in teatro.
Parafrasando Italo Calvino, il testo potrebbe essere ribatezzato La giornata di due scrutatori: raconta infatti – rispettando le unità aristoteliche di luogo, tempo e azione – un’intera giornata in un seggio elettorale al quale non si presenta alcun elettore, e nemmeno la maggior parte degli scrutatori (presidente e segretario compresi), complice un “pontone” festivo.
Andato tutto esaurito nei suoi primi cinque giorni di programmazione, lo spettacolo è una vera e propria macchina da guerra, impeccabile nei dialoghi, la regia, le scelte musicali e gli straordinari interpreti che si ritrovano due personaggi tagliati su misura per le loro personalità e giganteggiano sul piccolo spazio scenico.
Apologo feroce sulla disaffezione nei confronti della politica (l’affluenza generale – in queste elezioni immaginarie – non supera il 2%, ma il rischio è che le amministrative del 15 maggio non si discostino troppo da questa fosca parodia) il testo racconta in realtà dinamiche universali, e si tiene lontano dalla facile satira, evitando volutamente qualsiasi riferimento all’attualità: immaginaria è la guerra civile nella Repubblica Centrafricana, così sono inventati i nomi dei partiti (“Tutti con Giovanni” e “Basta Cemento”) e persino la citata “Pace di Aquisgrana” è in realtà un evento storico indefinito, visto che ce ne sono state ben quattro dall’812 al 1815. L’unico nome reale evocato – con effetto irresistibilmente straniante – è quello di Matteo Renzi.
La presenza tra i ringraziamenti di Luca Vendruscolo (terzo autore della serie) e in platea di Valerio Aprea e Pietro Sermonti testimonia come quella di Boris sia ormai una vera e propria comunità.
“Boris 4 non è stata una rimpatriata, perché in tutti questi anni abbiamo sempre continuato a frequentarci” commenta Ninni Bruschetta, anche lui in campo contro la Nazionale dei poeti.
In realtà lo stesso telefilm nasce da un gruppo di amici, cresciuti insieme e che insieme lavorano sin dall’adolescenza. “Di quel gruppo io, in realtà, non facevo parte, essendo molto più anziano” racconta Bruschetta: “Il successo incredibile ha fatto sì che ci incontrassimo almeno due-tre volte all’anno. Poi purtroppo dopo la morte di Mattia Torre ci siamo visti un po’ meno”.
La voglia di tornare sul set coltivata per oltre dieci anni dall’intero cast è un evento più unico che raro nel cinema italiano (paragonabile forse al ritorno di Indiana Jones e alla riunione degli Spider-Man). “Nessuno credeva davvero che ci saremmo riusciti, soprattutto dopo la morte di Mattia” .
A renderlo possibile davvero è stata, come è noto, la pubblicazione della serie su Netflix durante il lockdown, il cui successo ha proiettato Boris da prodotto di nicchia per addetti ai lavori a fenomeno di massa rilevato dal Colosso dei Colossi – la Disney – finito a sua volta parodiato nella quarta stagione, dove i grigi funzionari Rai orientati da raccomandazioni e politica sono stati soppiantati dai giovani dirigenti americani osessionati dal linguaggio inclusivo e dal famigerato algoritmo.
Incentrato su una fiction tratta dai Vangeli, Boris 4 ha visto il ritorno di tutti – ma proprio tutti – gli interpreti visti nelle prime tre serie e nel film del 2011. E ora sono già tutti pronti per una nuova avventura.
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