È passato quasi un mese e mezzo (era il 29 febbraio) da quando il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti parlava di “danno di immagine” con “l’Italia isolata” e con la zona rossa “che crea danni economici anche alle altre aziende” e sono passate oltre tre settimane da quando ha pubblicato un documento per ribadire il no alla chiusura delle industrie. Quel no che insieme a un rimpallo di responsabilità tra Regione Lombardia e governo avrebbe trasformato Alzano e Nembro, nonché l’intera bergamasca, nel lazzaretto d’Italia.
Ma quanto hanno influito gli imprenditori bergamaschi sulla decisione di non attivare la zona rossa in Valle Seriana? In un’intervista rilasciata a TPI l’8 aprile, viene chiesta conferma al presidente Bonometti, di “una riunione, avvenuta in Regione, con i rappresentati delle industrie lombarde, il presidente Fontana e alcuni tra i principali imprenditori della bergamasca per parlare proprio della zona rossa”.
Il presidente, rispondendo alla giornalista Francesca Nava, disse: “Ci siamo confrontati ma non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione. Le faccio un esempio: se oggi la Dalmine non lavorasse, io ho insistito per tenerla aperta, le bombole per l’ossigeno non ci sarebbero”.
Una risposta che non lascia scampo a equivoci sul reale interesse di mantenere le aree aperte e le fabbriche in funzione. Chi però smentisce questa ricostruzione è il presidente di Confindustria Bergamo Stefano Scaglia, che al Corriere dichiara: “Non sono a conoscenza della riunione menzionata nell’intervista al presidente Bonometti pubblicata su TPI in data 8 aprile e ribadisco che Confindustria Bergamo non ha mai fatto alcune pressione per evitare la zona rossa”.