Zangrillo e il Covid clinicamente morto: “Non mi rimangio nulla”
Era il 31 maggio 2020 quando Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale San Raffaele di Milano, dichiarava che il Covid era “clinicamente morto”.
Ora, esattamente 12 mesi dopo, il medico torna su quella frase, che provocò diverse polemiche e reazioni, affermando di non essersi pentito di nulla.
Intervenuto nella mattinata di lunedì 31 maggio a L’aria che tira, in onda su La7, Zangrillo ha infatti dichiarato: “Non sono stato per nulla audace, ho semplicemente fotografato la realtà. Il clinico fotografa la realtà e se è bella si sente spinto a renderla pubblica. Non mi rimangio una virgola, quella frase è stata oggetto di speculazione da parte di tristi personaggi in cerca di una ribalta. Ho dato loro da mangiare per un anno”.
“Ora accade quello che è accaduto un anno fa, con l’aggiunta che abbiamo un presidio fondamentale come i vaccini, Non dobbiamo dimenticarci una coa fondamentale: la cura sul territorio, Se ci chiudiamo in ospedale, abbiamo perso in partenza”.
“Non sappiamo quanto i vaccini ci tuteleranno, auspichiamo tutti in grande misura. Ma siccome i virus circolano, bisogna identificarli nelle persone e bisogna curare i pazienti tempestivamente. Resto ottimista se diamo spazio alle misure che hanno reso grandioso il nostro sistema sanitario nel mondo. Ci siamo fatti del male da soli dipingendo un numero di morti superiore a quello di altri paesi che hanno semplicemente contato in modo diverso” ha aggiunto Zangrillo.
Su quello che accadrà in futuro, Zangrillo risponde: “Dobbiamo lasciare poco spazio ai ‘frati indovini’ che sparano una cosa prima degli altri sperando che si riveli giusta. Qualcuno dice che arriveranno le varianti. Cosa facciamo? Ci chiudiamo nel fortino o sviluppiamo gli strumenti? Abbiamo sviluppato strategie attendistiche su piani sbagliati, dobbiamo dare grande dignità di ruolo ai medici di medicina generale, che sono il fulcro del sistema sanitario. Il medico di medicina generale deve parlare con me, che sono in ospedale, dobbiamo scambiarci indicazioni. Molte persone hanno speso in tv il loro tempo mettendosi un camice in fretta per far vedere che parlavano da un ospedale”.
Evidente il riferimento a Massimo Galli, anche se Zangrillo non lo nomina mai. “So che se dovessi andare dalla dottoressa Gruber, avrei davanti un plotone di esecuzione. Io non sono né di destra, né di sinistra… Se dico che vado via dalla televisione riesco a stare via per 6-7 mesi. Curo i malati che arrivano anche dall’ospedale Sacco che altrimenti sarebbero deceduti. Fare il rianimatore significa curare le disfunzioni d’organo, curare i malati più gravi che altrimenti muoiono. Per fare il rianimatore bisogna essere molto umani”.
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