“Ce li abbiamo solo noi veri negri!”. Siamo nel 2020, nell’estate del Covid in Sardegna, più precisamente a San Teodoro, in provincia di Sassari. Nel locale Buddha Del Mar si fa festa. Un gruppo di ragazzi neri trasporta una barchetta giocattolo in spalla e al ritmo della musica fa il giro della sala facendosi strada tra la folla. Sulla curiosa barchetta spuntano una finta oca e un finto cane con in testa un fuoco d’artificio. Una scena che ricorda l’ormai noto meme della danza con la bara.
Per chi non lo ricordasse, nel 2017 la Bbc pubblica un documentario sulle tradizioni del Ghana. Lì i funerali sono musicali. Si balla e si canta portando la bara in spalla, per motivi rituali. Questo tipo di funerali sono ben pagati (circa 2.000 euro nella nostra valuta). Ed ecco che le scene dei funerali del Ghana diventano un meme che “esploderà” a febbraio 2020, diventando letteralmente virale grazie alla condivisione di un utente di TikTok che voleva burlarsi di uno sciatore rovinosamente caduto.
“E ce li abbiamo solo noi i veri negri!” urla il vocalist del Buddha Del Mar, il video si interrompe ma con ogni probabilità il riferimento è al meme.
Condannata e bandita, “negro” è una parola ancora troppo utilizzata. Con il termine “negro” si indicano, sovente in senso dispregiativo, persone con la pelle scura. La parola è stata bandita dapprima per un diffuso senso civico di rispetto, poi sulla base di leggi e regole condivise dalla società civile in tutte le sue manifestazioni, come quelle sportive. Il punto però è che, nonostante tutto, la parola “negro” è utilizzata in maniera sempre più dilaganti nel linguaggio di tutti i giorni.
Facciamo notare che chiamare “negro” in pubblico una persona può causare al responsabile una denuncia penale, ai sensi della legge “Mancino” (Legge n. 205/93 e decreto legge del 26-04-1993 n. 122) e dare del “negro” a una persona è reato. Lo ha ribadito nel 2014 la Corte di Cassazione condannando un imprenditore marchigiano che aveva aggredito un uomo nero sferrandogli un pugno e apostrofandolo tra l’altro come “negro perditempo”. L’uomo era stato condannato in via definitiva dall’Alta Corte per ingiuria e lesioni aggravate dall’odio etnico.
Nel motivare la propria decisione, i giudici del Palazzaccio hanno ricordato infatti le precedenti sentenze secondo cui “integra gli estremi della aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, l’espressione ‘sporco negro’, in quanto idonea a coinvolgere un giudizio di disvalore sulla razza della persona offesa”.
Noi di TPI abbiamo più volte provato a contattare i proprietari del locale per un commento sull’episodio, ma al momento non vi è stato riscontro.
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