Il dramma della violenza economica sulle donne
La violenza economica non lascia segni sulla pelle, ma logora l’esistenza delle donne che ne sono vittime. All’inizio l’uomo si mostra premuroso, chiede alla donna di non lavorare, tanto è lui a portare lo stipendio a casa, oppure le intesta l’azienda. Un gesto di fiducia per la donna, che nasconde in realtà il tentativo concreto di ingabbiarla.
Sono tante le storie raccolte da Mia Economia, lo sportello inaugurato un anno fa da Fondazione Pangea Onlus con l’avvio del progetto Reama, la rete per l’empowerment e l’auto mutuo aiuto per le donne che vivono la violenza.
Tante le richieste d’aiuto arrivate allo sportello: a scrivere sono donne esauste, schiacciate da mariti e compagni violenti. “Tra le varie forme di controllo e assoggettamento abbiamo voluto focalizzare la nostra attenzione su una forma di violenza di cui si parla poco ma che risulta altrettanto grave proprio perché subdola: quella economica”, afferma Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea Onlus.
L. ha 40 anni e due figli. Non è ancora separata e vive con un marito che quotidianamente esercita su di lei violenza psicologica ed economica. È bulimica e anoressica e lui riesce a trasformare la sua malattia in un senso di inferiorità che la donna vive come colpa. Lui le ha intestato un’attività e tutte le operazioni vengono fatte in nome e per conto di L. Lei era all’oscuro di tutto, anche le carte di credito e il bancomat sono intestati a lei ma sono nella disponibilità esclusiva del marito. L. trova il coraggio di rivolgersi a Mia Economia e, dopo un percorso, si separa dal marito. Oggi ha un lavoro che le ridà una sicurezza economica, ma soprattutto le restituisce l’autostima cancellata dall’ex marito.
Il marito di G. aveva un’azienda in Campania. A un certo punto è andato via dall’Italia e ha lasciato la donna da sola con tre figli. Lei ha cercato di portare avanti l’azienda, ma senza risultati positivi: da tempo non erano state pagare né le tasse né i fornitori. G. si è trovata inoltre con il pignoramento immobiliare della casa a causa dei debiti contratti anche a suo nome. La donna sta cercando di risanare la sua posizione, ma essendo indebitata ha difficoltà ad iniziare un’altra attività o un lavoro perché i creditori sono perennemente in agguato.
Anna ha 26 anni e si rivolge a Mia Economia scrivendo una lettera in cui denuncia un “padre padrone” e una madre ormai troppo debole e succube del marito per reagire. “Oggi sono io a chiedere aiuto, una figlia di 26 anni, stanca di un padre padrone e di una madre che calpesta ogni giorno se stessa per un concetto di famiglia che da anni vuole preservare. Lei una donna colta, autonoma, con un uomo che si e preso tutto di lei, la sua identità insieme al suo conto corrente”, scrive Anna.
La ragazza tratteggia con durezza una vita familiare solo apparentemente normale, in realtà sbriciolata sotto i colpi della violenza economica perpetrata da quel padre e marito. “Lui gestisce anche i soldi di mia madre, a cui dà una somma irrisoria che poi lei stessa deve rendicontare con scontrini alla mano. Minaccia di toglierci tutto”, continua Anna, che, disperata, conclude: “Noi siamo cosi devastati da aver perso il senso di noi e dei nostri diritti”.
“La violenza economica è riconosciuta dalla Convenzione di Istanbul come vera e propria forma di coercizione e tra gli atti di ‘violenza domestica’ che si verificano all’interno della famiglia. Colpisce le donne di ogni età e di ogni ceto sociale e le porta a indebitamento, mancanza di liquidità, costrizione dei consumi, sino agli stenti, a non poter mandare i figli all’università e non poter acquistare loro da mangiare o da vestire”, continua Lanzoni.
“Questi comportamenti non solo generano una forma di controllo che impedisce l’indipendenza economica della donna ma creano anche uno stato di soggezione. La violenza economica è dunque una forma di violenza nascosta perché non porta segni evidenti sul corpo, ma lentamente logora le donne, rendendole dipendenti economicamente e psicologicamente, impedendo loro di poter andare via di casa”, spiega ancora la vice presidente di Fondazione Pangea Onlus.
In un anno, sono oltre 50 le donne che si sono presentate allo sportello: tutte prima hanno subito altri tipi di violenza, quella psicologica in primis. “La consapevolezza rispetto alla violenza economica arriva strada facendo in un lungo e complicato percorso di presa di coscienza del vuoto che lui le ha creato intorno, magari allontanandola dal lavoro, fino a renderla dipendente economicamente”, spiega Lanzoni.
52 le donne che si sono rivolte a Mia Economia, di età compresa tra i 40 e i 60 anni. 50 di loro con figli e ben 51 già con un avvocato civilista, penalista o entrambi, nominati per le violenze subite in passato ma cambiati diverse volte.
“Il fatto che avessero già un avvocato e che avessero iniziato, alcune da molto tempo, un percorso per uscire dalla violenza senza tuttavia mai aver avuto cognizione dell’aspetto economico – o non sapendo a chi rivolgersi – per noi è emblematico: dimostra come la maturazione dell’aver subito anche violenza economica arriva, se affiancate, solo dopo un certo tipo di percorso e quando si inizia a risentirne degli effetti”, ha spiegato ancora Lanzoni.
Tra le donne prese in carico, sei avevano un proprio reddito che però veniva controllato esclusivamente dal marito, tutte le altre dipendevano economicamente dal partner. Nei casi di separazione, 16 donne pur avendo diritto all’assegno di mantenimento non lo ricevevano anche in presenza i figli, che quindi pativano insieme alla madre degli effetti della violenza economica.
46 donne hanno dichiarato di avere beni in condivisione con il partner (casa, conto corrente o altro), 11 donne hanno riscontrato di avere beni intestati senza poterne usufruire o si sono fatte utilizzare per fare da copertura per società o aziende e 14 sono risultate morose senza esserne a conoscenza.
“La violenza economica è stata oggetto di attenzione non solo in sede internazionale dalla Convenzione di Istanbul. Da qualche tempo anche il Dipartimento Pari opportunità sta attenzionando il problema ma siamo solo agli inizi, il lavoro da fare è ancora tanto e va supportato da azioni concrete. Ecco perché Fondazione Pangea, dalla sua nascita, lavora per promuovere l’indipendenza economica e finanziaria delle donne, in Italia come nel resto del mondo, attraverso il microcredito. Ed ecco perché abbiamo deciso di dedicare uno sportello ad hoc di “Mia Economia”, all’interno della rete Reama, per aiutare le donne ad uscire dal loro indebitamento e superare quella forma di controllo che nasce proprio dalla violenza economica”, conclude Lanzoni.
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