Venezia: come funziona il Mose, a che punto è e cosa c’entra con l’acqua alta
Quando si parla di Venezia, e di acqua alta, non si può non fare riferimento al Mose, il MOdulo Sperimentale Elettromeccanico, che dovrebbe proteggere la città lagunare dalle alte maree. Nella notte tra il 12 e 13 novembre 2019 l’acqua alta ha sfiorato la paurosa soglia di 190 centimetri. Il picco, toccato alle 22.50, è stato di 1 metro e 87. È il secondo record della storia, dopo i 194 centimetri del 1966. I danni nella città veneta sono stati gravissimi (qui tutti i dettagli).
L’emergenza alta marea ha rilanciato il tema del Mose, il colossale sistema di barriere mobili che non è ancora stato ultimato, e lascia Venezia in balia di catastrofi naturali. Il Mose è stato al centro di una delle inchieste per corruzione e tangenti più eclatanti degli ultimi anni.
L’opera ha lo scopo di separare la laguna di Venezia dal Mare Adriatico, impedendo l’innalzamento dell’acqua. Il progetto prevede una struttura composta da 78 dighe mobili installate nelle tre bocche di porto lagunari: Lido, Malamocco e Chioggia. Le bocche di porto sono i varchi che collegano la laguna con il mare aperto, l’Adriatico.
Il problema dell’acqua alta a Venezia si è aggravato e intensificato in termini di frequenza a causa dell’unione di due fenomeni: l’abbassamento del livello del suolo e l’innalzamento del livello del mare, dovuto a fenomeni naturali, antropici e cambiamenti climatici. Oggi le città lagunari sono mediamente di 23 cm più basse sull’acqua rispetto a un secolo fa.
Come funziona il sistema di dighe mobili del Mose
In pratica la barriera si compone di paratie mobili appoggiate sul fondo delle bocche di porto, che si alzano con l’alta marea. Le dighe sono indipendenti l’una dall’altra, si può quindi decidere se chiudere contemporaneamente tutte e tre le bocche di porto o chiuderne solo alcune (e solo parzialmente), a seconda dei venti, della pressione o dell’entità della marea prevista.
Quando la marea è in condizioni normali, le paratoie mobili rimangono adagiate nei loro alloggiamenti e sono piene d’acqua. Nel caso in cui si attende un’alta marea le dighe vengono svuotate dall’acqua mediante l’aria compressa che le fa sollevare fino ad emergere. In questo modo le dighe possono bloccare la marea che entra in laguna.
Quando la marea cala, le paratoie si riempiono di nuovo d’acqua e rientrano negli alloggiamenti. Le dighe mobili impiegano circa 30 minuti per sollevarsi e 15 minuti per riabbassarsi. In media le bocche di porto possono rimanere chiuse per 4 o 5 ore. Per far sì che non venga interrotta l’attività del Porto di Venezia anche quando le barriere mobili saranno in funzione, alla bocca di porto di Malamocco viene realizzata una conca di navigazione per il passaggio delle grandi navi mentre alle bocche di Lido e a Chioggia saranno in funzione conche di navigazione più piccole per il transito dei mezzi di soccorso, pescherecci e imbarcazioni da diporto.
Le paratoie entreranno in funzione per maree superiori a 110 cm, ma si potrà decidere di volta in volta quando farle attivare.
Ma a che punto è la Grande Opera, da tempo al centro di scandali e inchieste giudiziarie?
A che punto sono i lavori del Mose
I lavori per la realizzazione del Mose di Venezia sono cominciati nel 2003, durante il governo Berlusconi II, ma l’idea dell’opera ingegneristica risale agli anni ’80, anzi ancora prima. L’esigenza di far diventare la salvaguardia della città un “preminente interesse nazionale” arriva dopo l’alluvione del 4 novembre 1966, durante la quale Venezia, Chioggia e gli altri centri abitati lagunari furono sommersi da una marea di 194 cm. In seguito venne varata la prima Legge speciale per Venezia (Legge n. 171/1973) che diede ufficialmente il via al lungo iter legislativo e tecnico per garantire a Venezia e alla laguna un efficace sistema di difesa dal mare.
I lavori iniziarono ufficialmente nel 2003, e a gestirli fu il Consorzio Venezia Nuova, per conto del Magistrato delle Acque di Venezia, emanazione del ministero delle Infrastrutture che, come vedremo, è stato commissariato a causa degli scandali giudiziari. Inizialmente era previsto che il Mose venisse completato entro il 2016, ma a causa dei numerosi ritardi, la consegna è slittata, e ancora è ben lontana dal vedere la luce.
Lo scorso 31 ottobre il Consorzio Venezia Nuova ha rinviato per l’ennesima volta il sollevamento della barriera a causa del riscontro di alcune vibrazioni in alcuni tratti di tubazioni delle linee di scarico. La barriera in questione è posata alla bocca di porto di Malamocco, la più profonda della laguna, 14 metri, che permette l’ingresso e il transito delle navi commerciali verso le banchine di Porto Marghera lungo il Canale dei Petroli. Lungo la bocca sono state posate 19 paratoie, ciascuna lunga 29,5 metri e larga 20, per uno spessore di 4,5 metri, incernierate a sette cassoni di alloggiamento in calcestruzzo installati nel fondale.
La fase di test del sollevamento delle barriere mobili era iniziato lo scorso 18 aprile, con le paratoie alla Bocca di porto Lido e Chioggia e si sarebbe dovuta concludere il 4 novembre, con quelle a Malamocco, ma i tempi non sono stati rispettati a causa dei problemi tecnici riscontrati. La data di conclusione e di consegna del Mose è fissata al 31 dicembre 2021, dopo la fase di collaudo definitivo.
I costi della grande opera
Il costo complessivo del Mose di Venezia, secondo le previsioni contenute nel Bilancio 2018 del Consorzio Venezia Nuova, è stato calcolato in 5.493 milioni di euro, stanziati in 15 anni, dal primo mattone del 2003 al 2018. I residui finanziamenti programmati dal Governo ammontano a 221 milioni, dal 2017 fino al 2024, ossia per altri tre anni dopo la chiusura dei cantieri. I costi si sono progressivamente alzati, man mano che subentravano ritardi nei lavori e nuovi impedimenti di varia natura.
Le inchieste giudiziarie
Nel 2014, il Consorzio Venezia Nuova (Cvn), concessionario del ministero delle Infrastrutture per la realizzazione dei lavori, è stato commissariato dallo Stato, visto che vari suoi membri erano stati coinvolti dalle indagini della magistratura per aver ricevuto fondi illeciti e avevano patteggiato la pena. Il 4 giugno 2014, nell’ambito di un’inchiesta anticorruzione da parte della magistratura, sono scattati 35 arresti e 100 indagati eccellenti tra politici di primo piano, vertici del Consorzio Venezia Nuova e altri funzionari pubblici. I reati contestati erano creazione di fondi neri, tangenti e false fatturazioni.
Tra i nomi più noti legati all’inchiesta vi era quello dell’ex governatore della Regione Veneto, Giancarlo Galan di Forza Italia, arrestato nel 2014 per corruzione continuata. Galan patteggiò la pena a 2 anni e 10 mesi, che trascorsi ai domiciliari. Nel 2018 un’indagine della Guardia di Finanza ha portato a un maxisequestro di conti e soldi riconducibili ancora a Galan. I fondi sequestrati ammontano in totale a più di 12 milioni di euro, un enorme flusso di mazzette portate all’estero da commercialisti e imprenditori. L’inchiesta ha svelato un enorme giro di riciclaggio di denaro nero. Segnaliamo l’inchiesta dell’Espresso dove viene approfondita la questione del “tesoro” di Galan.
Le critiche
Il Mose è stato ripetutamente criticato sotto vari aspetti, in primis per l’impatto ambientale e i costi di realizzazione e manutenzione dell’opera. Sotto il profilo ambientale, si è criticato il fatto che il Mose necessiti di una complessa attività di livellamento del fondale lagunare, che influisce sull’equilibrio idrogeologico e sul delicato ecosistema lagunare. Un’altra critica sul fronte ecologista arriva dal fatto che il blocco delle maree impedirebbe il mancato ricambio delle acque della laguna con afflusso di nutrienti marini. Per il movimento NO MOSE vi sono poi criticità strutturali dell’opera e un’inefficacia a fronteggiare il previsto aumento del livello del mare.
Per quanto riguarda poi i costi di realizzazione, gestione e manutenzione dell’opera sostenuti, si è mossa la critica secondo cui questi sarebbero molto più elevati rispetto ad altri sistemi con cui altri paesi (Paesi Bassi e Regno Unito) hanno affrontato problemi simili. In aggiunta, i costi di gestione post-costruzione costringerebbero gli enti locali a spese di manutenzione cospicue, dato che il consorzio che ha l’incarico di costruire il MOSE è responsabile del suo funzionamento solo per i primi 3 anni dopo la realizzazione. Qualsiasi guasto posteriore ai 3 anni dalla fine dei lavori sarebbe addebitato agli enti locali.