Gli esperti avevano pronosticato che la variante inglese sarebbe diventata quella prevalente in Italia, ed è esattamente quel che sta succedendo. La mutazione del virus Sars-Cov-2 scoperta nel Regno Unito, si sta diffondendo a grande velocità e, secondo le stime dei tecnici del ministero e del Cts, rappresenterebbe già oggi un terzo dei nuovi casi (tra il 30 e il 35 per cento). A darne notizia è un articolo su Repubblica, che sottolinea che circa 15 giorni fa, nella prima rilevazione promossa dell’Iss, la percentuale era di circa il 18 per cento.
A fornirci maggiori informazioni sarà la nuova rilevazione, programmata per ieri e oggi, ma alcuni dati sono già significativi. Tra le Regioni dove la variante circola di più ci sono l’Umbria e le Marche il Molise, dove ha superato il 50 per cento. In altre Regioni, il ceppo inglese rappresenta oltre un terzo dei nuovi contagi, ad esempio in Toscana è al 35, in Puglia e in Emilia al 38 per cento.
“La variante inglese di Sars-Cov-2 sta correndo molto veloce” e “in alcune aree d’Italia è già ampiamente prevalente”, ha dichiarato Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), all’Adnkronos Salute. “In poche settimane si è affermata e nel mese di gennaio ha quasi soppiantato il virus originario di Wuhan”.
Caruso evidenzia che nella zona bresciana “oltre il 60 per cento dei campioni positivi al tampone molecolare per Covid, collezionati random nella popolazione, appartiene ormai alla variante inglese”. E aggiunge: “penso che dati simili al nostro 60 per cento possano essere osservati in diverse zone”. Anche laddove le percentuali attuali restano inferiori, “certamente stanno crescendo rapidamente”.
La contagiosità della variante, stimata proprio in questi giorni nel nostro Paese, è di circa il 38 per cento superiore al virus di Wuhan che ha circolato finora: un dato coerente con quello che arriva dal Regno Unito, dove tuttavia la mutazione si è diffusa quando le misure anti contagio erano assai meno stringenti di quelle adottate dall’Italia. La variante inglese, sottolinea Caruso, è “molto capace di infettare, di diffondere e di imporsi. Probabilmente si è già meglio adattata all’uomo rispetto al ceppo originario”.
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