È uscito ieri, mercoledì 5 luglio, “Cibo e sfruttamento – Made in Lombardia”, il nuovo rapporto dell’associazione ambientalista Terra! realizzato con il sostegno della Fondazione Cariplo. Il report racconta le tante facce del caporalato in Lombardia, il motore agricolo ed economico del nostro paese, e fa luce sulle connessioni esistenti tra lo sfruttamento e l’impatto ambientale di un sistema agroindustriale, che in alcune province lombarde, ha modificato i terreni e i paesaggi. E che oggi, con la crisi energetica in corso, sembra insostenibile.
Il rapporto è basato su un’inchiesta sul campo fatta da un team di giornalisti e un fotografo, in coordinamento con lo staff di Terra! ed è stato presentato mercoledì 5 luglio, alle ore 18:30, a Milano, a “Cascina Nascosta”, in Viale Emilio Alemagna n°14.
Dalle cooperative spurie ai turni estenuanti ai contratti pirata e al lavoro grigio, praticamente la regola, le forme di sfruttamento individuate in Lombardia sono più sofisticate di quelle del Sud Italia o in alcuni stati Ue del Mediterraneo, dove Terra! ha indagato, e che si sono evolute, perché esse riescono ad aggirare i controlli e a mostrare una parvenza di legalità. Il primo capitolo, “Il secolo dei meloni”, si sofferma sul funzionamento delle cooperative spurie nella produzione del melone nel mantovano; il secondo, “La fabbrica di insalate”, sui turni massacranti a cui sono sottoposti gli operai impiegati nell’industria della quarta gamma, che impatta sulle province di Bergamo e Brescia; il terzo, “La terra dei suini”, sulla giungla dei contratti nel settore zootecnico, in particolare nella macellazione dei suini nelle province di Mantova e Cremona, dove Terra! è entrata in alcuni allevamenti.
IL RAPPORTO
Per anni il caporalato in Italia è stato raccontato come un fenomeno che riguardava soltanto le regioni del Mezzogiorno, radicato in una mentalità o in un modo di fare impresa “tipicamente” meridionale. E invece questa indagine di Terra! ci rivela un’altra faccia del Nord, dove lo sfruttamento non solo è possibile, ma spesso è la regola. “A distanza di anni e da ben altre latitudini, con questo lavoro sul campo, abbiamo la prova che il costo del lavoro sia ancora il più sacrificabile dell’intera filiera- dichiara Fabio Ciconte, direttore dell’Associazione Terra!- Abbiamo la conferma di quanto il lavoro grigio in agricoltura sia praticamente la regola. Le cooperative spurie, molto usate nella produzione dei meloni, rappresentano le nuove forme di sfruttamento, i contratti Multiservizi sono la scorciatoia che in molti usano nel settore dei suini, per arrivare infine ai turni estenuanti della quarta gamma, dove i ritmi industriali costringono gli operai a non fermarsi mai”. La Lombardia, con una produzione agro-industriale del valore di oltre 14 miliardi di euro, è la prima regione italiana nell’agro-alimentare. Qui la narrazione del lavoro in agricoltura è spesso schiacciata sulle difficoltà di trovare manodopera disponibile, che sia soprattutto specializzata. Un elemento di forte criticità, su cui Terra! fa chiarezza, raccontando la realtà del reclutamento agricolo, le condizioni di lavoro, le difficoltà di fare agricoltura oggi e i vuoti creati dalla fragilità dei servizi pubblici e colmati dai soggetti intermediari.
IL SECOLO DEI MELONI
La Lombardia è la seconda produttrice di meloni in Italia, dopo la Sicilia. Nella sola provincia di Mantova, si coltivano 90 mila tonnellate di meloni, da maggio ad ottobre. Qui i lavoratori moldavi e dell’est Europa, più forti fisicamente ma anche più ricattabili, stanno sostituendo i lavoratori marocchini, ormai stanziali da vent’anni. In questi territori l’intermediazione è svolta da cooperative spesso fittizie, con sede anche in Emilia Romagna o in Veneto. Queste, o agiscono in autonomia rispetto all’azienda, elargendo paghe da fame ai lavoratori, oppure in connivenza con essa. Un danno per un settore di eccellenza, tutelato dal Consorzio del melone mantovano IGP. Ma il problema, come Terra! ha denunciato in passato, è spesso a monte. Quasi tutti i produttori intervistati denunciano un mercato in cui è la Grande distribuzione organizzata (Gdo), i supermercati in cui facciamo la spesa, a imporre prezzi bassi ai produttori e a comprimere indirettamente anche i diritti dei lavoratori. In queste condizioni, fare quadrare i conti non è cosa semplice. Eppure sempre di più c’è chi sceglie di uscire dalle maglie della Gdo e di conferire ai mercati contadini, tornando così a riscoprire l’agricoltura di piccola scala. L’esempio di alcune aziende del Consorzio agrituristico mantovano ”Verdi Terre d’acqua”, raccontato nel report, va in questa direzione.
LA FABBRICA DI INSALATE
Nelle province di Bergamo e Brescia, l’avanzata della produzione delle insalate in busta (o quarta gamma) è visibile a colpo d’occhio . Le stime indicano che il 31% della produzione di settore è in Lombardia mentre il 30% è concentrato nella Piana del Sele, in Campania. Due regioni agricole complementari dal punto di vista della stagionalità, nonostante con le serre sia di fatto possibile coltivare tutto l’anno. L’intero processo di produzione della IV gamma è fortemente industrializzato e dipendente dalle continue richieste dei clienti, i supermercati. E proprio come in un’industria, se da un lato si assiste a una standardizzazione dei processi, dall’altra emergono forti criticità delle condizioni di lavoro: turni estenuanti, e giungla di contratti. I lavoratori sono perlopiù indiani Sikh, che vivono intorno ai centri produttivi. Molte aziende, specie nei periodi di massima intensità, si rivolgono a cooperative, agenzie per il lavoro e Srl appaltando intere fasi di produzione. Con la crisi energetica del 2022, l’industria delle insalate in busta ha mostrato il volto della insostenibilità, economica e ambientale. Secondo un produttore intervistato, l’aggravio dei costi di produzione, tra il ferro, la plastica, i fertilizzanti, la refrigerazione costante degli ambienti di stoccaggio è stato del più 20% e qualcuno si sta interrogando sui modelli alternativi da mettere in campo.
LA TERRA DEI SUINI
La Lombardia ospita il 50% dei capi suini presenti su tutto il territorio nazionale: oltre 4 milioni stipati in 6.7471 allevamenti. Mediamente il 20% della carne di una carcassa di un suino pesante è destinata ai prosciutti DOP, il 60% alla trasformazione in salumi e insaccati, solo il 20% alla carne fresca. La peculiarità della lavorazione dei suini in Italia è sicuramente la frammentarietà di un settore diviso in tante piccole imprese -allevatori, macellatori e trasformatori- Questa debolezza si riversa sulle fasi della commercializzazione, dove a prevalere è sempre la Grande distribuzione organizzata. In una filiera così frammentata, costretta a mantenere bassi i costi di produzione, l’esternalizzazione del lavoro a cooperative o agenzie di somministrazione sembra la regola. Nei macelli, però si vedono spesso lavoratori dell’azienda e della cooperativa svolgere le stesse identiche mansioni, anche se non potrebbero. Gli effetti del sottoinquadramento contrattuale della manodopera, una costante specie quando si tratta di lavoratori migranti, perché più ricattabili. E in questi casi, i contratti più diffusi sono il Multiservizi o quello delle Pulizie, più convenienti del CCNL dell’industria agroalimentare. Queste violazioni si inseriscono in un settore fortemente impattante sul territorio lombardo da un punto di vista delle emissioni e sui suini, da un punto di vista del benessere animale. Dalle gabbie ai trasporti, le condizioni degli allevamenti, in cui Terra! è entrata grazie a Essere Animali, sono indecorose.
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