Terme aperte: vacanze in zona rossa a prova di Dpcm
“Vanno in piscina, girano per il nostro paese, arrivano qua e mentre alberghi e ristoranti sono chiusi, entrano in un centro termale con l’autocertificazione per motivi sanitari. Ma altro che inalazioni”. T., residente di un comune in cui sorge un centro termale, non sopporta più di vedere turisti che passeggiano “come in tempi pre Covid” per le vie del suo borgo mentre mezza Italia è in zona rossa.
Ma spostarsi è sempre possibile per andare in un centro, perché questi sono considerati presidi medico-sanitari, e i loro servizi rientrano nei livelli essenziali di assistenza riconosciuti dal Ministero della Sanità, necessari alla terapia di alcune patologie, dalla psoriasi alla bronchite. Così da marzo 2020 le terme – salvo i casi in cui era prevista la regolare pausa invernale – non hanno mai chiuso, inclusi quegli alberghi e Hotel che hanno una struttura termale al loro interno.
Qualcuno però si è approfittato di questa situazione e quello verso le terme è diventato, in alcuni casi, non solo turismo “sanitario”, ma turismo vero e proprio, grazie al quale è possibile scavalcare divieti e zone rosse per quello che è a tutti gli effetti un soggiorno di vacanza. Con buona pace dei ristoratori costretti a restare chiusi mentre in Hotel si usufruisce dei servizi alberghieri, e dei residenti delle località che ospitano le strutture, che si vedono arrivare turisti anche da zone rosse. “A San Valentino c’erano 157 coppie, giovani e in forma”, ricorda T. E il turismo non si è fermato neanche nei fine settimane successivi, mentre l’Italia si tingeva di rosso.
Terme e vacanze in zona rossa
I clienti delle strutture termali arrivano da altre Regioni per trascorrere un fine settimana fuori porta, in barba al Dpcm che vieta gli spostamenti e che ha concesso l’apertura delle terme solo in quanto “presidi sanitari obbligatori”, “da non confondere con Spa e centri benessere”, sottolinea Massimo Caputi, presidente di Federterme, la Federazione Italiana delle Industrie Termali e delle Acque Minerali Curative che riunisce circa 300 strutture in Italia. Ma mentre l’intero settore nell’ultimo anno ha perso il 75 per cento dei ricavi e almeno 2 milioni di turisti, qualche struttura è rimasta aperta funzionando di fatto come una Spa, usando i permessi accordati per ragioni sanitarie come lascia passare per offrire anche il resto, dal centro benessere al ristorante gourmet. E battere cassa.
In un resort stellato in Lombardia un weekend include, insieme alle terme, “cena composta da menu degustazione a cinque portate, prima colazione, 4 vini al calice, acqua e caffè”, al costo di 462 euro a notte per due persone. Il tutto senza che il cliente disponga di una ricetta medica. Sono almeno otto i centri termali rintracciati da noi di TPI che, tra la Toscana, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna, sono disponibili ad accogliere ospiti che non soffrono di patologie particolari, ma muniti di autocertificazione “per motivi sanitari”, che grazie al passaparola sanno di poter contare su una struttura termale per spostarsi anche in pieno lockdown. Sul documento “Basta scrivere cure termali”.
Puntando sul fatto di essere un presidio medico, questi resort non si fanno scrupoli a incentivare il viaggio in fase di prenotazione. “Siamo una struttura curativa. Avendo acque termali e avendo possibilità della balneoterapia siete giustificati nello spostamento per raggiungere noi scrivendolo in autocertificazione, e possiamo confermarvelo con il documento della prenotazione, la allegate alla autocertificazione”, spiegano dallo staff di un Hotel in Toscana. “È sempre possibile venire, a prescindere dai colori”. In un altro resort non è possibile fermarsi solo per una notte, perché bisogna prenotare il pacchetto completo, che ne comprende almeno due, dal venerdì alla domenica: una vacanza. Al costo di 309 euro a coppia.
Terme: cosa dice il Dpcm
Il Dpcm del 2 marzo 2021 stabilisce la sospensione delle attività di “palestre, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali”, ma chiarisce che “sono consentite solo le attività di palestre, piscine, centri natatori, centri benessere e centri termali per l’erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza (Lea) e per le attività riabilitative o terapeutiche”. Le norme, che valgono fino al 6 aprile, non sono state modificate dall’entrata in vigore dell’ultimo decreto del governo Draghi, quello del 13 marzo 2021. E sono pressoché le stesse da quando tutta Italia ha chiuso per la prima volta all’inizio della pandemia, ma l’erogazione dei Lea è sempre stata concessa.
Interrogato su quali fossero i protocolli in vigore per accedere ai centri, il Ministero della Salute ci rimanda alle misure attuative del Dpcm del 2 marzo 2021 e in particolare alle linee guida sulle riaperture di attività economiche, produttive e ricreative, redatte in realtà a ottobre 2020. Queste non specificano quali sono i requisiti e i documenti necessari ad accedere a un centro, ma i trattamenti elencati, dalla fangoterapia ai cicli di cura della sordità, dai cicli di cura della riabilitazione neuromotoria ai trattamenti accessori (come massaggi e sauna), sono sempre associati a una funzione riabilitativa e curativa.
Inoltre visitare uno stabilimento qualsiasi non è sufficiente a trattare un disturbo, perché tecnicamente ogni complesso termale ha un’acqua adatta a curare una patologia differente. “Se hai un problema di psoriasi devi andare a Saturnia, un problema di respirazione a Salsomaggiore, fegato malato a Chianciano, per problemi di articolazione ad Abano”, spiega Caputi. Le patologie fanno anche parte di un elenco redatto dal Ministero della Salute nel 1993, ma anche chi non ne soffre può recarsi in una struttura termale, se nessuno controlla.
“Nel momento in cui è scritto sul Dpcm che i centri termali sono aperti per motivi sanitari è sottinteso che serva una ricetta medica”, assicura Federterme. Anche la Prefettura di una delle province in cui sorgono due dei centri termali contattati, quella di Siena, conferma questa interpretazione della norma. “Si ritiene consentita la sola erogazione di prestazioni riabilitative e terapeutiche, la cui necessità sia attestata da certificazione medica”, spiega l’Ufficio di Protezione Civile. Ma, nei fatti, non è così.
Aggirare i controlli
In alcuni casi l’assenza di ricetta medica è un ostacolo che si può superare facilmente, perché nell’impossibilità di procurarsene una prima della partenza, l’Hotel dà la possibilità di prenotare una visita all’interno della struttura, così da superare l’eventuale controllo: un pacchetto aggiuntivo che costa 20 euro e include l’immersione termale e il consulto medico per spostarsi in sicurezza.
“In caso di controlli consigliamo di tenere sotto mano la conferma della visita medica perché le prestazioni che andiamo a offrirle sono curative”, assicurano dalla reception di un resort in Lombardia. “Deve acquistare il pacchettino termale, se vuole venire da un’altra Regione per provare i benefici dell’acqua. Ha il costo di 20 euro a persona mentre la visita è gratuita”. E così il gioco è fatto. E lo stesso accade in almeno altre due strutture.
Ma tutto il resto gratuito non è: si viaggia sui 400 euro a coppia per un soggiorno che include anche i servizi del centro benessere e, ovviamente, la pensione completa, perché in città bar e ristoranti sono chiusi. Ma una volta dentro, pur nel rispetto delle norme di sicurezza, si può usufruire di tutto: i motivi sanitari diventano per i clienti il modo per trascorrere un weekend di vacanza anche fuori dalla propria Regione, mentre l’albergo incassa.
Sta ovviamente al singolo prendersi la responsabilità dello spostamento e alle forze dell’ordine verificare l’esistenza di comprovate esigenze sanitarie in caso di stop. Ma, mentre il settore è in crisi e molti stabilimenti rinunciano a ricevere un cliente in più per attenersi strettamente alle regole e al buon senso, in assenza di controlli approfonditi alcune strutture hanno trovato il modo di aggirare la norma per continuare a fare cassa, strizzando l’occhio a chi ha voglia di approfittarne.
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