“Ci sono tante piccole cose che dobbiamo chiarire, per far capire meglio a noi che è successo”, spiegano i magistrati di Tempio Pausania a Silvia, quando il 17 febbraio 2020 è stata convocata dal procuratore capo Gregorio Capasso, insieme alla sostituta Laura Bassani, per far luce su alcuni passaggi poco chiari del presunto stupro avvenuto nella villa di Beppe Grillo, nel resort sardo al Pevero. La ragazza dice di essere stata “picchiata e insultata – e non sarebbe riuscita a gridare, a telefonare a qualcuno – per paura. Mi sentivo di morire, distrutta e congelata. A un certo punto vedevo nero”.
È la terza volta che Silvia fornisce una ricostruzione dell’ipotetica violenza sessuale di Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia. A otto giorni dall’accaduto, aveva trovato la forza di raccontare quelle ore confuse alle psicologhe del centro antiviolenza della clinica milanese Mangiagalli. Poi, il giorno successivo, un’altra deposizione ai carabinieri della compagnia Duomo. “Cioè, mi è venuto in mente di urlare, non è che non mi è venuto in mente, ma non riuscivo”, spiega ai magistrati.
“E perché non riuscivi?”, incalzano loro. “Perché, cioè, ero più concentrata a tirarlo via o comunque… si, poi c’erano anche gli altri… ero in una situazione che un po’ mi vergognavo… Non lo so, mi sentivo…”. A questo punto interviene il procuratore, che deduce: “Diciamo che non ce l’hai fatta”. Secondo il verbale, sarebbe stato Corsiglia il primo ad approfittare del corpo della ragazza. “Mi ha spinto al letto e si è appoggiato su di me. Continuava a tenermi giù. In quel momento io mi ribellavo e cercavo di andarmene, sono riuscita a respingerlo e sono tornata di là con gli altri». Poi, la violenza, stando al racconto di Silvia, si è ripetuta: «Il ragazzo di prima si è ributtato su di me, era riuscito a trattenermi e mi tirava i capelli, mi aveva immobilizzata”.
Silvia ribadisce il fatto di non essere riuscita a gridare anche perché sentiva che gli altri tre ragazzi si trovavano dietro la porta della camera “e ridevano, ma non intervenivano”. A un certo punto, la giovane sarebbe riuscita a divincolarsi e a raggiungere il bagno. A questo punto “Corsiglia mi ha lanciato il suo asciugamano addosso, dicendo di appenderlo come se fossi una spazzatura. E allora – ricorda la ragazza – sono scoppiata a piangere, altri due ragazzi sono entrati in bagno a vedere e mi continuavano a dire “Eh perché stai piangendo, cos’è successo?”. Una farsa, per la ragazza, poiché gli altri avrebbero assistito a tutto.
Poi la giovane sarebbe andata nella camera della sua amica, Roberta, la quale però stava dormendo. “Possiamo andare a casa?”, le aveva domandato Silvia, ma la compagna avrebbe fatto spallucce, tornando a dormire. Nella ricostruzione, la giovane ha raccontato nel dettaglio anche l’ormai nota vicenda della vodka. “Per distrarmi mi hanno offerto da bere, mi hanno tenuto la testa e fatto bere metà bottiglia di vodka. La mia testa ha iniziato a girare, ma ero abbastanza lucida ancora. Mi hanno accompagnato in una stanza, mi hanno detto che potevo dormire lì, che potevo stare tranquill”. E, invece, a questo punto sarebbe iniziato lo stupro di gruppo.
“Sentivo che si davano il “passaggio” e dicevano “ehi, dai, fai veloce, tocca a me” e cose del genere. Io non riuscivo più a gridare, non sentivo più forza nel corpo. Ero distrutta. Dopo non so, ho visto nero, non so più cosa sia successo e mi sono risvegliata al mattino, in un altro letto e in un’altra stanza”, racconta Silvia.
Poi, i giudici insistono sul rapporto tra lei e Francesco, il primo che l’avrebbe violentata: “Mi ero messa tipo in braccio a Francesco, un attimo però. Ma ho sempre messo bene in chiaro cosa volessi e cosa no”. Silvia racconta di essere stata appella anche ‘str**za, cag*a’, finché non ha perso completamente il controllo su se stessa: “Il mio corpo quasi non lo sentivo più: nel primo episodio sentivo dolore, poi era come se il mio corpo fosse anestetizzato”. I difensori di tre dei quattro ragazzi hanno chiesto un nuovo interrogatorio, ma sembra ormai certo il rinvio a giudizio per Ciro e i suoi amici.
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