Studente arrestato in Egitto, collega a TPI: “Patrick rientri in Italia”
“Patrick doveva raggiungere la famiglia per trascorre 5 giorni di vacanza e poi fare rientro in Italia. Ha diritto di proseguire il Master a Bologna. Non sappiamo cosa gli è stato fatto, ma una cosa è certa: non ha mai raggiunto la sua famiglia ad Al-Manṣūra, è stato prelevato il secondo dopo che ha messo piede all’aeroporto internazionale del Cairo”.
Sabato 8 febbraio 2020 Patrick George Zaki, uno studente dell’università di Bologna e attivista per i diritti umani originario dell’Egitto, è stato arrestato all’aeroporto del Cairo e condotto in prigione in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare per 15 giorni.
Secondo quanto denunciato da Amnesty International Italia e in esclusiva a TPI dal leader del Movimento sei aprile Sayed E. Nasr, il ragazzo è stato interrogato per lunghe ore ed è anche stato sottoposto a torture come l’elettroshock.
Le accuse nei suoi confronti sono molteplici: diffusione di false notizie per disturbare la quiete pubblica; incitamento a proteste non autorizzate, con l’obiettivo di screditare il prestigio dello Stato e disturbare la pace e la sicurezza pubblica; propaganda per rovesciare il governo e cambiare i principi basilari della costituzione; utilizzo di account social per destabilizzare l’ordine pubblico e soprattutto promozione di comportamenti violenti e crimini di matrice terroristica.
Giada Rossi è un’amica e una collega di Patrick, insieme studiano al Master Gemma dell’Università di Bologna, a TPI ha raccontato i rapporti col giovane studente e importanti dettagli sulla vita del 28enne arrestato al Cairo.
Ci siamo conosciuti appena Patrick è arrivato a Bologna, a fine agosto del 2019, per iniziare il Master Gemma in studi di genere sulle donne all’università di Bologna. Lui è al primo anno, io al secondo.
Patrick è di Al-Manṣūra, e atterrava al Cairo perché rientrava dall’Italia. Era semplicemente tornato a casa per trascorrere dei giorni con la famiglia. Volo che gli era stato regalato dai genitori, era da agosto che non rientrava. Si trattava di 5 giorni di vacanza con la famiglia. Quando è atterrato al Cairo, l’hanno fermato.
Che lui fosse in aperto pericolo o che fosse a conoscenza del mandato di arresto emesso già l’estate scorsa non si può dire, altrimenti non sarebbe rientrato. Chiaro è che l’Egitto non è famoso per essere un paese sicuro per chi comunque si occupa di diritti umani.
Patrick è uno studente, in Egitto ha prima studiato medicina, poi ha iniziato a occuparsi di diritti umani come ricercatore. Soprattutto di diritti delle minoranze religiose e delle persone Lgbtq. Ma non ha mai preso parte a nulla di violento o a qualcosa che lasciasse presagire un pericolo reale. Parliamo di un paese che ha 70.000 prigionieri politici.
Mi sembra ridicolo tutto questo ed è l’ennesima riprova di come la macchina del fango del regime sia in azione. Guardavo ieri i servizi alla televisione egiziana e sono raccapriccianti.
Fa paura quello che dicono di lui. Lo dipingono come tutto quello che Patrick non è, come una persona violenta, pericolosa. I capi d’accusa sono diffusione di informazioni non vere, terrorismo, atti violenti. Soliti capi d’accusa inventati a chi viene definito oppositore politico al regime di Al Sisi, ossia qualsiasi persona provi ad approfondire il tema dei diritti umani.
Patrick è una persona super pacifica, ha fatto subito amicizia con tutti. La rete che ha creato qui a Bologna è incredibile. Crede davvero nelle unioni, negli scambi, anche noi come gruppo di studenti e studentesse del Master Gemma siamo 12 persone tutte di paesi diversi. Patrick ha 28 anni, io ne ho 26, ma abbiamo compagni di età diverse.
È ed era una persona perfettamente consapevole del tipo di regime, della situazione geopolitica egiziana, ma non aveva paura più di qualsiasi altro studente che sta facendo un master in temi caldi. Aveva partecipato alla campagna elettorale, è posizionato politicamente, ma ciò che continuiamo a sottolineare è che Patrick si è sempre mosso pacificamente, nel rispetto del diritto internazionale.
L’ho sentito martedì notte, prima di un esame che aveva mercoledì. Quella sera l’ho sentito al telefono. Il mercoledì sera lui si è visto con altri compagni. E giovedì è partito.
Siamo in contatto con amici di Patrick in Egitto che lo aspettavano in aeroporto al Cairo, appena non lo hanno visto è cominciata a girare la notizia. Così anche noi abbiamo subito dato la notizia. Nelle prime ore non sapevamo dove fosse. Il mandato d’arresto è stato emesso con 24 ore di ritardo, dicendo che era stato prelevato a casa dei genitori, ma Patrick non è mai uscito dall’aeroporto.
È stato detenuto fin dal primo momento.
Siamo in contatto con le reti egiziane e abbiamo avuto contatti con la sorella e con la famiglia. Si stanno muovendo.
Stiamo lavorando come team al livello internazionale, con l’Egitto, con la Germania, con gli Stati Uniti, in Canada. Team nato spontaneamente di ricercatori, studenti, avvocati e chiunque abbia voglia di battersi per la sua libertà.
Siamo in contatto con l’avvocata Ballerini che è il legale della famiglia Regeni. Siamo in contatto con Amnesty.
Prima di tutto il rilascio immediato di Patrick e la caduta di tutte le accuse, poi che gli venga garantito il diritto di rientrare in Italia e proseguire il master. Patrick è beneficiario di una borsa di studio che ha vinto per due anni, in seguito a una dura prova di ammissione. Chiediamo anche che il governo non perseguirà né lui né la sua famiglia, e chiediamo che venga aperta un’indagine nell’ambito del diritto internazionale per far luce su quello che è successo in quelle 24 ore in cui di lui non si è saputo niente.