Erano passate appena ventiquattro ore dall’esplosione della bomba nella sala d’attesa della stazione di Bologna. Il 3 agosto 1980 Tg2 Dossier, in un lungo speciale, mostrava le immagini della devastazione, riportava le parole dei soccorritori, le prime analisi.
Poi il conduttore chiede a Claire Sterling, presentata come corrispondente del Washington Post, una valutazione: «Prima di tutto dobbiamo porci la domanda, perché Bologna? È commovente, ma dobbiamo porci anche la domanda perché Madrid? Perché Belfast? Perché Libano? Perché Israele, Ankara, Istanbul? Dobbiamo pensare ad un fenomeno che va molto al di là dei confini di qualsiasi Paese, siamo alla fine di un decennio di terrorismo veramente internazionale».
La giornalista statunitense non ha dubbi, neanche per un momento prende in considerazione la possibilità di una nuova strage neofascista, dopo Piazza Fontana, Brescia e l’Italicus.
«La Sterling? Non era del Washington Post, era della Cia», ha spiegato, anni dopo, Libero Mancuso, il pubblico ministero bolognese che otterrà la condanna dei Nar, in un’intervista inserita nell’inchiesta “Prima della strage” andata in onda il 31 luglio 2021 nel programma Spotlight di Rainews24.
Il profilo della giornalista era sicuramente curioso: insieme a Michael Ledeen – analista del circolo ristretto di Ronald Reagan, esponente dei neoconservatori Usa – Claire Sterling faceva parte del Csis, il Centro internazionale di studi strategici, finanziato dalla Georgetown University, organizzazione molto vicina a Henry Kissinger. Era, questo, il giro degli amici repubblicani di Licio Gelli, un ambiente che negli anni Ottanta contava.
I depistaggi sulla strage più sanguinosa della storia italiana iniziarono quando le macerie ancora fumavano. Anzi, secondo la tesi della Procura generale di Bologna – che ha ottenuto la condanna in primo grado dell’avanguardista Paolo Bellini – la strategia di inquinamento delle indagini era in realtà stata preparata prima dell’attentato, con la regia del capo della P2.
Quarantatré anni dopo l’esplosione della bomba del 2 agosto 1980, nonostante le tante sentenze definitive che dimostrano la responsabilità delle organizzazioni eversive neofasciste, le tesi sulla pista internazionale ritornano, rispolverando i vecchi fascicoli sul Lodo Moro e la trattativa segreta tra il governo italiano e i palestinesi tra il 1979 e il 1982.
Una tesi che sta trovando spazio in parlamento, cercando una via alternativa ai tribunali per ribaltare decenni di indagini, processi, condanne confermate dalla Cassazione e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la Cedu. TPI ha consultato i dossier del Sismi su quella trattativa, che Fratelli d’Italia cerca da alcuni anni di accreditare come movente della strage del 1980. Una pista, come vedremo, senza alcun fondamento.
Depistaggi: gli Usa e la P2
Con la stazione di Bologna ancora sventrata, iniziarono i depistaggi, gestiti da Licio Gelli e dai vertici del Sismi. Mentre la magistratura fin dall’inizio segue la pista neofascista, il servizio segreto militare – che aveva all’epoca un’alta densità pidduista al suo interno – confeziona una sorta di dossier dove si incrociano, in maniera a volte caotica, pezzi di piste internazionali, con la prevalenza di figure del terrorismo di sinistra.
La tesi viene “soffiata” ad alcuni giornalisti, per cercare di influenzare fin da subito l’opinione pubblica. Il 19 settembre 1980 su un giornale del Canton Ticino appare la pista libanese, che attribuiva l’organizzazione della strage a gruppi terroristici legati alla fazione dei maroniti a Beirut.
Un vero e proprio depistaggio, diranno le indagini, gestito da una giornalista legata al Sismi ben conosciuta dal capocentro del servizio d’intelligence estera nella capitale libanese, Stefano Giovannone.
L’ufficiale sapeva che era una manovra propagandistica dell’Olp (i maroniti erano nemici della fazione guidata da Yasser Arafat), ma la asseconda: l’importante era togliere l’attenzione dai Nar e dal magmatico mondo della destra eversiva romana.
Tra ottobre e novembre del 1980 il Sismi riesce in ogni caso ad accreditarsi con i giudici di Bologna. Poco dopo, nel gennaio 1981, parte l’operazione di depistaggio “Terrore sui treni”, orchestrata da Gelli e dai vertici del Sismi. Beirut, i palestinesi, Giovannone, nomi che, anni dopo, torneranno come cavalli di battaglia di chi cerca di allontanare l’ombra della strage dalla storia della destra post-fascista italiana.
Lavori parlamentari
Quando ormai la verità storica e giudiziaria su Bologna è consolidata, la tesi di un coinvolgimento palestinese nell’attentato del 2 agosto riprende forma. Nel 2006 due consulenti della commissione Impedian (meglio nota come Mitrokhin) Lorenzo Matassa e Gian Paolo Pelizzaro firmano un documento sul «gruppo Separat e il contesto dell’attentato del 2 agosto 1980».
Separat era il nome dell’organizzazione terroristica di Ilich Ramirez Sanchez, Carlos lo Sciacallo, legata al Fronte popolare di liberazione della Palestina, il Fplp. All’interno della commissione parlamentare d’inchiesta si sviluppa la tesi di un collegamento tra il terrorismo internazionale palestinese con la strage, ipotesi che, tre anni dopo la redazione della relazione, viene archiviata dal Gip di Bologna, su richiesta della Procura, per mancanza di indizi tali da giustificare il proseguimento delle indagini.
Il punto di partenza della tesi sulla “pista palestinese” è l’accordo del 1973 tra lo Stato italiano e l’Olp, che prevedeva l’assenza di attentati nel nostro Paese in cambio di una riservata autorizzazione per il passaggio di armi. Il 7 novembre 1979 ad Ortona, in provincia di Chieti, erano stati fermati tre esponenti di Autonomia Operaia con due lanciamissili Sam-7; pochi giorni dopo venne arrestato il giordano Abu Saleh, esponente del Fplp, coinvolto in quel traffico di materiale bellico.
Da quel momento e per i due anni successivi tra il Sismi – e il governo italiano – l’Olp e il Fplp si avvia una trattativa. I palestinesi ritenevano che gli accordi del 1973 fossero stati violati e, dunque, si dicevano pronti a ritorsioni.
La trattativa tra Sismi e palestinesi sui lanciamissili di Ortona era documentata da una serie di cablogrammi inviati a Roma dal capocentro di Beirut Stefano Giovannone. Questa documentazione è stata posta sotto segreto di Stato nel 1984, proprio su richiesta dell’ufficiale in servizio in Libano.
Nel 2014, scaduto il periodo di 30 anni del segreto di Stato, i documenti sono stati classificati come «segretissimo» e dunque non divulgabili. Un’aurea di mistero che ha contribuito a rafforzare la tesi della “pista palestinese”.
Il primo agosto del 2019, alla vigilia del trentanovesimo anniversario della strage di Bologna, alla Camera dei Deputati un gruppo di parlamentari di FdI e di Forza Italia annuncia la creazione dell’intergruppo “2 Agosto, la verità oltre il segreto”. Ha un solo obiettivo, riproporre, ancora una volta, la pista palestinese.
A guidarlo è Federico Mollicone, già consulente della commissione Impedian e oggi, con il Governo Meloni, presidente della commissione Cultura alla Camera: «Io e Paola Frassinetti (sottosegretario di Stato al ministero dell’Istruzione e del Merito nel Governo Meloni, ndr) siamo qui come “cercatori di verità”. Questa interminabile notte di depistaggi, questa interminabile notte del segreto di Stato, che a volte va ad oscurare la verità dei fatti…».
I parlamentari di FdI evidenziano la segretezza dei documenti sulla trattativa Sismi/Palestinesi, che – sostengono con sicurezza – nasconderebbero una «verità indicibile» sulla strage di Bologna. Per Mollicone e Frassinetti l’ombra del 2 agosto va allontanata dalla destra e quando entra Fabio Rampelli, l’attuale presidente della Commissione cultura commenta: «È uno di quelli che ha pagato la criminalizzazione della destra in conseguenza della strage di Bologna, insieme andavamo a Bologna a fare le manifestazioni davanti al tribunale per chiedere una verità oggettiva e non una verità di parte».
In quell’incontro Maurizio Gasparri annunciava, sicuro delle sue parole, che nel dossier sui rapporti tra Sismi e Olp «ci sono dei contenuti importanti ed interessanti. Li ho visionati alla sede del Dis, a largo di Santa Susanna». Ci si poteva fidare, dunque.
Ancora più sicuro è stato Carlo Giovanardi, che, come membro della commissione Moro 2, ha potuto leggere anche lui la documentazione classificata: «Io mi sono segnato tutte quelle note, non le ho solo lette. Quindi ho tutto, mi sono segnato tutto».
Mostra un foglio, che poi distribuisce ai giornalisti presenti: «Qui ho messo le dieci date più importanti, quando si parla dei palestinesi, quando si parla di Arafat, quando si parla di Habbash, quando si parla delle rappresaglie, eccetera, perché questa è storia».
Pochi giorni dopo il direttore di Adnkronos Gian Marco Chiocci (dato in pole position alla guida del Tg1 in quota Giorgia Meloni) annuncia le «due nuove verità nascoste» durante un suo intervento alla festa di FdI Atreju: «Una è clamorosa: il Governo e i servizi la conoscono, alcuni parlamentari l’hanno letta ma non ne possono parlare, e riapre la pista arabo-palestinese» sulla strage di Bologna.
Poi lancia un appello: «Chi risponde sulle carte palestinesi nascoste? Perché il Governo non toglie segreto sulle minacce del Fronte popolare per la liberazione della Palestina all’Italia arrivate appena prima di Ustica e Bologna? Perché la magistratura non acquisisce queste carte? Perché i grandi giornali se ne fregano?».
Fake news
Nell’agosto del 2021 Mario Draghi avvia un’operazione di declassificazione di migliaia di documenti, provenienti dai ministeri e degli organi di sicurezza dello Stato, Aise (ex Sismi) compreso. Tra questi vi sono anche i cablogrammi sulla trattativa Sismi/Olp del 1979-1982, ovvero quei dossier sul Lodo Moro che FdI pone alla base della “pista palestinese”.
TPI ha letto l’intero incartamento: non c’è nulla che possa ricollegare la strage del 2 agosto con le minacce del Fplp per il sequestro dei missili di Ortona nel novembre del 1979. La storia è ben diversa.
I documenti contenuti nel fascicolo sono trentadue, compresa la copertina iniziale che fa riferimento all’indagine della Procura di Roma su Ustica. Un dettaglio importante: i cablogrammi erano stati già forniti dall’Aise ai magistrati romani titolari dell’inchiesta sull’abbattimento dell’aereo Itavia nel giugno 1980, che evidentemente non avevano trovato nessuna attinenza con la loro inchiesta.
Il primo messaggio inviato dal colonnello Stefano Giovannone al Sismi di Roma è del 15 novembre 1979, pochi giorni dopo l’arresto di Abu Saleh. L’esponente palestinese – coinvolto nella storia dei lanciamissili di Ortona – viene «considerato elemento emarginato da Fplp».
Il 20 novembre 1979 Giovannone spiega che «l’operazione di Ortona aveva come obiettivo Israele, l’Italia era solo per transito. Saleh non conosceva dettagli operazione, perché ritenuto “bruciato”. Secondo Gufo (nome in codice di una fonte di Giovannone, ndr) non sarebbero mai avvenute forniture di armi ad organizzazioni italiane. La collaborazione con elementi di Autonomia Operaia era dovuta a convergenze ideologiche con Fplp».
Tre giorni dopo il capocentro Sismi a Beirut riferisce: «Altre spedizioni del genere sono state effettuate nelle scorse settimane da altri Paesi Europa occidentale in direzione Medio Oriente. Casse sarebbero state fornite tutte dalla stessa organizzazione internazionale». Dunque, l’Italia non era l’unico passaggio delle operazioni riservate dei palestinesi.
Alla fine del 1979, quando stava per iniziare il processo per direttissima a Chieti nei confronti dei tre autonomi e di Saleh, il Fplp presenta le sue richieste al governo italiano: «Facilitare accoglimento probabile richiesta rinvio dibattito (…), impegno da parte presidente Cossiga vietare che due lanciamissili e relativa documentazione siano esaminati o consegnati servizi israeliani o Usa».
Terminato il processo di primo grado, arrivano le minacce di ritorsione da parte dei palestinesi, esplicitate in una nota del 24 aprile 1980: «Operazioni di carattere intimidatorio – scrive Giovannone – o di appoggio all’organizzazione degli autonomi».
In ogni caso, prosegue la nota, «nessuna azione sarà comunque effettuata dal Fronte nei confronti dell’ambasciata di Beirut, del capo missione, del personale tutto nonché della collettività degli interessi italiani in Libano». Una strategia ben lontana dall’organizzazione di una strage (come Bologna) o l’abbattimento di un aereo (come Ustica).
L’intera vicenda diventa più chiara dalla fine del 1980 in poi. La trattativa, infatti, prosegue anche dopo il 2 agosto, il giorno della strage, segno evidente della assoluta estraneità dei palestinesi con l’attentato di Bologna.
Anzi, si parla apertamente di una politica di riconoscimento dell’Olp da parte del Governo italiano. E alla fine, leggendo l’intero dossier, si scopre che buona parte delle richieste del Fplp vennero accolte, trasformando questo carteggio in una sorta di “papello” di una trattativa che appare ben poco nobile.
Il Fronte aveva chiesto di ridurre la pena in sede di appello agli autonomi, da 7 a 4 anni: la Corte dell’Aquila, nel gennaio del 1985, porta la condanna da 7 a 5 anni. Il 22 maggio 1981 il Fplp considerava «prioritaria per ragioni prestigio confronti “base” organizzazione, concessione libertà provvisoria Abu Anzer Saleh in tempi molto brevi, indifferentemente da eventuale ulteriore rinvio processo appello»: l’esponente palestinese viene scarcerato il 12 agosto di quello stesso anno.
Il fascicolo si conclude con le note su una riunione ad alto livello tra Sismi, Olp e Fplp, avvenuta nel febbraio 1982, quando il processo per i fatti di Ortona si era appena concluso, accogliendo le richieste dei palestinesi: «Dopo gli accordi di circa 8 anni fa, non è stato effettuato alcun attentato contro chicchessia in Italia, né è stato tenuto alcun contatto con organizzazioni terroristiche italiane», si legge in un appunto datato 12 febbraio 1982. Il caso è definitivamente chiuso.
La replica di Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi
Riceviamo e pubblichiamo di seguito.
Facciamo riferimento all’articolo di Andrea Palladino del 10 febbraio 2023 sulla pista palestinese (titolo “Strage di Bologna, la pista palestinese era una bufala”, ndr). Nel pezzo siamo citati in relazione al disastro aereo di Ustica della sera del 27 giugno 1980, preceduto da una impressionante escalation di minacce da parte dei gruppi estremisti palestinesi che volevano la liberazione di Abu Saleh, il loro referente a Bologna, in carcere per il trasporto di missili terra aria sequestrati qualche mese prima ad Ortona.
Come membri della Commissione Moro, avevamo potuto consultare ed annotare i rapporti del Sismi da Beirut (col. Giovannone ) ma eravamo stati ripetutamente e anche formalmente diffidati dal Governo Conte dal renderli pubblici, per non ledere l’“interesse nazionale”. Il Governo Draghi viceversa ha accettato di desecretare alcuni documenti, tra quelli da noi annotati, compreso quello drammatico del 27 giugno mattino da Beirut in cui si prevede un imminente attentato, già minacciato dal Fronte di Liberazione della Palestina nelle settimane precedenti in caso di mancata scarcerazione di Saleh.
Agli atti del processo penale su Ustica, che ha visto assolti con formula piena i generali dell’Aeronautica, è allegata una perizia di 4.000 pagine, firmata da 11 tra i più famosi periti aeronautici del mondo, mai contraddetta da nessun altra perizia, che ha appurato con certezza assoluta che il Dc9 è precipitato causa lo scoppio di una bomba collocata nella toilette di bordo.
Nella sentenza penale tra l’altro è scritto che quella del missile e di un battaglia aerea è una ipotesi da fantascienza, degna della trama di un film giallo ma non di una indagine giudiziaria. Naturalmente noi non sappiamo chi ha collocato la bomba, ma quello che è certo è che per decenni, sino al Governo Draghi, la pista palestinese è stata occultata per la Ragion di Stato e nessuno ha indagato seriamente su chi potessero essere stati i mandanti e gli esecutori.
Ma non è mai troppo tardi e nel frattempo l’Archivio di Stato dovrebbe pubblicare i documenti desecretati perché storici, giornalisti e chiunque sia interessato possa farsi una idea sull’accaduto senza manipolazioni, censure o peggio depistaggi.
Maurizio Gasparri
Carlo Giovanardi