È una storia che sembra non chiudersi mai quella della strage di Bologna. Ottantacinque morti, duecento feriti, l’attentato più cruento, per numero di vittime e modalità, della storia italiana. C’è una morte misteriosa che si aggiunge ai fascicoli corposi di due procedimenti ancora aperti, quarant’anni dopo la bomba del 2 agosto.
Stefano Sparti, 53 anni, figlio di Massimo Sparti, uno dei testimoni chiave del processo che ha portato alla condanna definitiva dei tre ex NAR Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, è morto dopo essere precipitato dal settimo piano del condominio dove viveva a Tor Bella Monaca, periferia di Roma.
Per ora la Procura ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di istigazione al suicidio, in attesa dell’autopsia e dei primi accertamenti. Sui fatti, però, ci sono alcune ombre, che TPI ha potuto ricostruire.
Chi era Stefano Sparti
Stefano Sparti era imputato davanti al Tribunale di Bologna per falsa testimonianza, accusa arrivata dopo la conclusione del processo contro un altro appartenente al gruppo eversivo neofascista, Gilberto Cavallini, condannato in primo grado per concorso nella strage del 1980. Sparti era stato chiamato dalla difesa dell’ex NAR per tentare di smentire la testimonianza del padre Massimo, un ex esponente della Banda della Magliana, fornitore di documenti falsi dei terroristi neri.
Massimo Sparti aveva dichiarato nei diversi processi degli anni ‘90 di aver incontrato il 4 agosto 1980, due giorni dopo la strage, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che gli dissero testualmente: “Hai visto che botto?”. I due si erano rivolti al padre di Stefano Sparti per avere una patente ed una carta d’identità falsa. Questa testimonianza è stata ritenuta attendibile e riscontrata nei diversi processi, fino alla conferma della Corte di Cassazione.
Stefano Sparti, ascoltato nel 2019 davanti alla Corte d’Assise di Bologna raccontò, tra molte contraddizioni e “non ricordo”, di aver ricevuto una sorta di confessione dal padre in punto di morte, mentre era ricoverato in una clinica: “Papà, perché hai montato tutta questa storia sulla… cioè, sulla tua testimonianza non vera sulla strage?”, chiese; la risposta, secondo Sparti, fu: “Non potevo fare altrimenti e l’ho fatto per voi”. Il testimone, più volte sollecitato dal presidente della corte, non ricordava l’anno della morte del padre (era il 2002), il nome e luogo della clinica dove era ricoverato (in un Istituto di Grottaferrata).
Ha poi riferito una serie di circostanze del 1980 – quando aveva sei anni – che, a giudizio del Tribunale, erano palesemente infondate. Riferiva, ad esempio, di una visita di Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, nella sua abitazione estiva a Vetralla, in provincia di Viterbo, il 2 agosto 1980, quando in quel momento Cristiano Fioravanti era ancora detenuto a Rebibbia, come dimostrano alcune informative depositate nel corso del processo. Lo stesso Fioravanti testimoniò di essere andato da Massimo Sparti nella sua abitazione a Roma e non a Vetralla, subito dopo la scarcerazione.
Nelle motivazioni della sentenza di condanna in primo grado nei confronti di Cavallini i magistrati annotano: “Questi particolari, che sembrano marginali, fanno comprendersi la malafede di questo teste (Stefano Sparti, ndr) e il suo esclusivo intento demolitorio delle fonti di prova a carico dei NAR (e di chi vi stava dietro)”. Lo scorso anno Stefano Sparti viene dunque rinviato a giudizio per falsa testimonianza, insieme a Luigi Ciavardini e Vincenzo Vinciguerra, che rispondono per essersi rifiutati di fornire alcune informazioni durante la loro deposizione.
L’appartamento invaso subito dopo la morte
L’appartamento di Stefano Sparti è al settimo piano di uno dei condomini di Tor Bella Monaca. È un palazzone grigio, di 14 piani, dove abitano decine di famiglie assegnatarie – o occupanti abusivi, in alcuni casi – di alloggi pubblici. Sparti viveva da solo dal 6 ottobre 2022, quando era stato scarcerato dopo un arresto per stalking nei confronti dell’ex moglie.
Prima di questo periodo, secondo le testimonianze di alcuni condomini, il suo appartamento era vuoto: “Ed è curioso che nessuno lo abbia mai occupato – racconta una donna che vive nello stesso palazzo – si diceva che nessuno potesse entrare lì”.
Poche ore dopo la sua morte, avvenuta alle 11 del mattino del 26 gennaio, una coppia con accento romano “ha forzato con un trapano la porta ed è entrata nell’appartamento di Stefano – prosegue il racconto – e quando abbiamo protestato hanno risposto ‘fatevi gli affari vostri’”.
All’ingresso dell’appartamento – che ha la grata esterna forzata ed evidenti segni di colpi sulla porta – non sono presenti segni visibili di sigilli. Dunque, almeno apparentemente, i locali non sarebbero stati posti sotto sequestro dopo l’intervento delle forze di polizia, chiamate quando gli abitanti hanno visto il corpo di Sparti sul selciato, davanti al portone di ingresso del condominio.
Secondo alcune fonti investigative, gli agenti di polizia avrebbero “controllato l’appartamento, senza trovare nulla di rilevante”. Abbiamo provato a suonare al campanello, ma nessuno ha risposto. Di fianco alla porta c’erano alcuni oggetti depositati per terra e nelle scale, a pochi metri di distanza, pezzi di mobile ed un piccolo materasso.
Da quello che è possibile ricostruire raccogliendo le testimonianze dei residenti nel palazzo, Stefano Sparti sarebbe precipitato da un’apertura del pianerottolo del settimo piano, dopo essere uscito dal suo appartamento.
A separarlo dal vuoto c’era una balaustra, di una certa altezza: “Non sappiamo come possa aver fatto, stava veramente male, la mattina lo hanno visto in strada che faceva fatica perfino a sedersi su una panchina”. Tutti i testimoni ascoltati da TPI hanno confermato le cattive condizioni di Sparti e la sua difficoltà nel muoversi.
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