“È come se lo avessero ucciso due volte”. A parlare è il padre di Stefano Leo, il ragazzo di 34 anni ucciso ai Murazzi di Torino lo scorso 23 febbraio.
Un delitto avvolto nel mistero per oltre un mese, prima della confessione di Said Mechaquat, cittadino italiano di origini marocchine, che lunedì 1 aprile si è presentato in Questura e ha spiegato di aver commesso l’omicidio perché aveva visto Stefano sorridere.
“Non conoscevo Stefano. L’ho visto, mi ha guardato e ho pensato che dovesse soffrire come sto facendo io”, ha detto il 27enne. “L’ho sgozzato con il mio coltello, ve lo faccio trovare”.
“Volevo ammazzare un ragazzo come me. Volevo togliergli tutte le promesse che aveva, la promessa dei figli. Volevo toglierlo ai suoi amici e ai suoi parenti”.
Un racconto agghiacciante, di cui il padre di Stefano, Maurizio Leo, non riesce a capacitarsi. “Siamo a pezzi non abbiamo più parole. Lo hanno ucciso un’altra volta”.
“È un incubo che non ha fine. Come possiamo farcene una ragione? – continua Maurizio Leo – Adesso che sappiamo la verità come possiamo anche solo tentare di giustificare quello che è accaduto? Mio figlio e quell’uomo non si erano mai visti né conosciuti. Erano due estranei, tra loro non è capitato nulla, solo uno sguardo e un sorriso, probabilmente casuali, perché Stefano era un giovane solare, che amava la vita. È inspiegabile che sia stato ucciso per questo motivo”.
“La solidarietà dei suoi amici e dei colleghi di lavoro è stata grande. Ci sono stati vicini e hanno cercato di farci coraggio in questi giorni difficili”.
L’incredibile movente di Said Mechaquat in un primo momento aveva fatto dubitare dell’attendibilità della sua confessione. Il suo avvocato ha avanzato l’ipotesi che si possa trattare di un mitomane. Poi, però, i dettagli forniti dall’uomo sono risultati compatibili con le circostanze del delitto, a partire dall’arma che il 27enne ha fatto ritrovate in una cassetta dell’Enel, compatibile con quella utilizzata per l’omicidio.