Lo spot del Parmigiano Reggiano, scritto e diretto dal regista Paolo Genovese, negli ultimi giorni è stato bersaglio di durissime critiche sui social. E con la pubblicità anche il Consorzio, gli attori e il regista. Fino alla decisione presa dal marchio di modificare la campagna pubblicitaria. Solidarietà soltanto verso “Renatino”, il lavoratore – che nella realtà ha un altro nome e probabilmente fa anche un altro lavoro – protagonista della vicenda che per lavorare non ha mai visto il mare o Parigi.
“Nel Parmigiano Reggiano c’è solo latte, sale e caglio. Nient’altro. Nel siero ci sono i batteri lattici. L’unico additivo è Renatino, che lavora qui da quando aveva 18 anni, tutti i giorni. 365 l’anno”. A quel punto una ragazza chiede: “Ma davvero lavori 365 giorni l’anno e sei felice?”, la risposta è “Sì”. A causa di questi trenta secondi di spot – che fanno parte di un mediometraggio di 25 minuti dal titolo “Amigos”– l’azienda sul web viene accusata di sfruttare i lavoratori e di far passare un messaggio “immorale”.
“È una pubblicità, è finzione”
Su Twitter #Renatino va in tendenza e tanti sono gli utenti che vogliono salvarlo. Molti raccontano la propria storia, c’è chi scrive “Vergognoso”. Gli insulti arrivano anche all’attore Stefano Fresi che nella pubblicità spiega a due ragazzi e tre ragazze – estasiati di fronte alla dedizione del lavoratore – cosa stia facendo il casaro impegnato a lavorare il parmigiano.
“È una pubblicità, è un’opera di finzione. Nel momento in cui c’è Renatino che racconta di essere felice di non andare a Parigi e di non vedere mai il mare perché lavora 365 giorni al Parmigiano, è una cosa che serve allo sceneggiatore per magnificare il prodotto – dice Fresi in un video su Instagram – È un messaggio pubblicitario ed è finzione”. Ma anche sotto la spiegazione dell’attore i commenti non si arrestano: “Stefano, le pubblicità sono finzioni, ma vuoi o non vuoi veicolano messaggi” si legge. O ancora “Però racconta una storia, che, in teoria, non dovrebbe essere la rappresentazione di qualcosa di immorale. Perché penso che siamo tutti d’accordo che lavorare 365 giorni l’anno lo sia, anche se fatto per scelta consapevole”. Altri utenti commentano con “Che pazienza hai” o lo ringraziano. Solidarietà anche da parte dei colleghi e delle colleghe come l’attrice Elena Sofia Ricci che scrive “Che ci si debba giustificare perché si sta facendo il proprio mestiere… è veramente incredibile. Tu sei un uomo speciale”.
Sui social, però, nascono anche meme e parodie tra le critiche durissime di chi nello spot legge schiavismo, classismo e stakanovismo. Su Twitter si ironizza: “Negli anni bisestili ha un po’ di riposo”, su Lercio si legge “Parmigiano, parla Renatino: Mi hanno decurtato dallo stipendio le ore passate a girare lo spot”. Anche pagine di alcuni marchi ironizzano sulla vicenda e sulla storia del Casaro mentre l’immaginazione degli utenti dà vita ad hashtag di ogni tipo.
L’azienda: “Modificheremo la campagna”
Nella giornata di ieri, però, a fare un passo indietro è proprio il Consorzio Parmigiano Reggiano. Il direttore comunicazione, marketing e svilupppo commerciale, Carlo Mangini, ha annunciato di voler “modificare lievemente la pianificazione della campagna, potendo intervenire sul quarto spot apportando alcune modifiche che accoglieranno quanto emerso”. E dice anche “Ci dispiace se la volontà di sottolineare la passione dei nostri casari è stata letta con un messaggio differente che non abbiamo avuto la sensibilità di rilevare e che, grazie al dibattito accesosi in rete, raccogliamo con grande rispetto”.
Di questa mattina è, poi, un altro video su Instagram pubblicato dall’attore Stefano Fresi in cui dice di essere dispiaciuto per “non essere stato capace di leggere il rischio che c’era nell’interpretazione di quel messaggio” e aggiunge che in passato ha svolto alcune professioni che gli hanno permesso di conoscere realtà in cui si parla di essere sottopagati, sfruttati o pagati in nero: “Se c’è qualcuno che conosce molto bene il diritto al lavoro, lo sfruttamento e la mancanza di tutele per i lavoratori sono proprio gli operatori dello spettacolo di cui ho fatto sempre parte e di cui continuo a far parte. Ho sempre combattuto in prima linea per difendere i diritti dei lavoratori” racconta l’attore.
Non è il caso zero
Non è la prima volta che gli spot pubblicitari firmati da registi di lungometraggi (anche pluripremiati) finiscono al centro delle critiche e delle polemiche. È il caso, ad esempio, dello spot realizzato per la campagna di vaccinazione ideato e diretto da Giuseppe Tornatore. Il titolo è “La stanza degli abbracci”, la musica è di Nicola Piovani ed è uno delle quattro pubblicità inizialmente previste (delle altre tre non si ha più traccia). Più che degli abbracci, però, era diventata la stanza delle critiche. Lo spot in questo caso era stato accusato di essere poco chiaro e di non fare un riferimento palese e concreto ai vaccini.