“No go area” sono delle strade in cui è meglio non passarci mai. Perché rischi di essere accoltellato, picchiato o che qualcuno ti spari. L’ultima che ho visitato era a Brixton, Londra, lontano dal famoso e colorato mercato, con dei capannoni industriali che di notte diventano presidio di spacciatori.
Ho visto quegli stessi capannoni in un’altra periferia, a San Giovanni a Teduccio, Napoli est, nelle stesse condizioni da città invisibile, con gli stessi fantasmi, la stessa edilizia popolare, corridoi, androni. Anche qui ci sono giovanissimi organizzati in bande criminali, solo che non li chiamano clan ma gang.
A Londra come a Napoli sono il sottoproletariato delle organizzazioni criminali, quelle che si affrontano per dividersi porzioni di territorio, attività illecite, (innanzitutto lo spaccio di droga), che si marchiano per certificare la loro appartenenza al gruppo, che non si arricchiscono veramente come i clan veri, che muoiono giovani o finiscono in galera, che ascoltano la musica che narra le loro gesta. Le auto che passano hanno le radio a palla: “trema Napul si parlo, vengo a int e strada a ro fa o giallo” (trema Napoli se parlo, vengo dai posti che fanno paura). Oppure a Londra: “Park Lane bopping, the opps dem droppin’ Come here, I got you a coffin, 12 gauge long like Kelvin’s coffin” (ci fottiamo Park Lane, gli avversari cadono, vieni qui, ti ho preso una bara da 12 lunga come quella di Kelvin”.
Si chiama “drill” (trapano), è una musica che deriva dal rap, parla di pistole, droga, soldi, vita di strada, usa gli spari e i caricatori nelle sequenze ritmiche. Gli accademici si dividono tra chi accusa i drillers di incitare alla violenza e mandare messaggi di morte a gangs rivali e chi invece li individua come espressione di una cultura underground neorealista. Spesso i drillers sono stati anche processati. Per questo nasce “Sound of gangs” che ho realizzato insieme con Simona Petricciuolo, il nuovo reportage della trasmissione “Il Fattore Umano” (di Raffaella Pusceddu e Luigi Montebello, da un’idea di Annamaria Catricalà), in onda lunedì 2 agosto in seconda serata su Rai 3. Ho provato a fare racconto immersivo nel fenomeno delle gangs a cavallo di due città: Londra e Napoli. Ex affiliati, gangster, drillers, vittime innocenti, produttori musicali sono i protagonisti di una storia che rimbalza da Napoli a Londra e che racconta di ragazzini cresciuti nella violenza e di una musica che a volte è apologetica della vita criminale e altre volte è un mezzo di riscatto.
“Il rap e la drill sono la Cnn dei ghetti” dice Paola Zukar considerata la “signora del rap”, manager di artisti del calibro di Marracash, Fabri Fibra, Madame. Secondo lei di certe cose è sempre meglio parlarne piuttosto che tacerle. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Massimo D’ambra e Corey Jonhson, tra i più grandi produttori musicali della scena internazionale. Anche Corey ha avuto un passato difficile.
C’è Salvatore, figlio di un uomo considerato un narcos della camorra, che canta “pigl e sord e fuje semp (prendi i soldi e scappa)” mentre simula degli spari. Con lui andremo sul set di un suo videoclip e in sala di registrazione: questa musica è la sua valvola di sfogo e un modo per riscattarsi economicamente e socialmente.
Nel Regno Unito Scotland Yard ha richiesto l’eliminazione di almeno 50 video da Youtube, sostenendo che la drill renda l’omicidio “glamour” e che le gang usino questi video per sfidarsi tra loro. “Ci sono almeno tre delitti collegati – ci spiega Davide Palmisano di Firm UK – e sono tutti legati a dei videoclip di musica drill che, secondo le indagini, li annunciano o li raccontano”.
“Cantano ciò che succede, le nostre faide”, dice J. Che ha voluto essere intervistato sul roof di una lussuosa torre a Est London. Quando siamo entrati nello stabile i portieri in livrea si sono girati dall’altra parte per lasciarci passare. “Io ho cominciato a 12 anni, quando è stato accoltellato mio cugino. In certi posti o entri in una gang o ti devi difendere”. Ci sono faide che fanno tantissimi morti. “Negli ultimi 5 anni ci sono stati 632 omicidi di cui 400 collegati alle gangs. Di questi, più della metà riguardavano ragazzi al di sotto dei 21 anni” ha spiegato Sheldon Thomas, ex membro di una gang e adesso ad di una organizzazione no profit che si occupa di aiutare i ragazzi coinvolti in questo mondo. Si tratta di omicidi di cui si parla pochissimo e che avvengono a pochi passi dalla city, anche con vittime innocenti finite per caso sotto i colpi dei giovanissimi affiliati. Il tutto avviene ad opera di circa 170 bande che si dividono la città quartiere per quartiere e contano affiliati di età compresa tra i 10 e i 30 anni. Dei morti di Napoli e delle faide tra le paranze di ragazzini sono piene le cronache.
Abbiamo girato diversi quartieri a Londra con ex gangster come Jermain e Sheldon che oggi gestiscono due associazioni per aiutare i ragazzi a venirne fuori e siamo stati in giro a Napoli con ragazzi che hanno messo a ferro e fuoco la città con le loro bande. Anche qui alcuni hanno cambiato vita, due tra i più temuti ora fanno gli operai nelle Marche e vivono onestamente e con sacrificio. Carlo Epifani e Antonio Bosso sono animatori del tappeto di Iqbal, attivo nel quartiere di Barra, e grazie al loro coordinatore Giovanni Savino sono riusciti a realizzarsi ed aiutare altri giovani. Bosso è addirittura diventato campione italiano di parkour.
Ma la vera sfida è proprio partire dai ragazzini che imitano i drillers su TikTok. Come Manuele, che ha una famiglia difficilissima ma una madre fortissima, Assunta, che frequenta la Fondazione Famiglia di Maria, coordinata da Anna Riccardi. Lei vuole un futuro diverso per il suo bambino, diverso da quello del marito e del fratello, tuttora in galera, e del padre, morto ammazzato.