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    Lo zio di Silvia Romano: “Non dovevano farla scendere dall’aereo vestita così”

    Di Giulia Angeletti
    Pubblicato il 14 Mag. 2020 alle 19:45

    “La cosa è stata gestita male da loro quando è scesa dall’aereo. Non dovevano esporla. Almeno lasciatela abbracciarsi nell’intimità in una saletta. E’ stata gestita male in partenza. Non so se avete notato la passerella con tutti i fotografi come a Cannes, ma cos’è sta stronzata?”. Sono le dure parole a La Zanzara su Radio 24 di Alberto Fumagalli, lo zio di Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya nel novembre 2018 e liberata in Somalia nella notte tra l’8 e il 9 maggio scorsi. Da quando è tornata in Italia, a Milano, la sua città, Silvia è stata oggetto di diversi attacchi da parte di haters, esponenti politici e media. Sono infatti diverse le critiche giunte tramite violente minacce, frasi intimidatorie o maldicenze, circolate anche nei palazzi istituzionali, alla 24enne rimasta per un anno e mezzo nelle mani del gruppo terroristico Al-Shaabad e che riguardano soprattutto la sua conversione all’Islam e il presunto riscatto pagato per mettere fine alla sua prigionia.

    A difenderla – in questi giorni in cui le minacce a Silvia si sono persino concretizzate nel lancio alla finestra della sua abitazione di cocci di bottiglia – i suoi familiari, sua madre e suo padre che chiedono a tutti pace e la possibilità di dimenticare questo brutto capitolo della loro vita. Suo zio, però, che qualche giorno fa aveva rilasciato un’intervista al programma tv La vita in diretta, ha molti dubbi sulla conversione spontanea di Silvia alla fede musulmana, tanto da ammettere il sospetto che sua nipote sia stata “drogata”. Dubbi espressi nuovamente ai microfoni del programma radiofonico: “Sono rimasto colpito dalla conversione, certo. Già era un simbolo politico, adesso è diventata un simbolo religioso. Io mi devo sincerare se lei vuole veramente questa cosa. Ho detto che le hanno fatto il lavaggio del cervello. Adesso aspettiamo del tempo per accertarci se lo vuole veramente. Poi ,se tu ami tua nipote, tua figlia, accetterai. Anche se io non condivido la sua scelta, la accetto”, ha spiegato Fumagalli.

    Lo zio di Silvia, proprio come i suoi genitori, vuole inoltre vederci chiaro anche su Africa Milele, la Ong per cui la nipote lavorava, accusata di mandare ragazzi e ragazze in Africa senza le necessarie tutele e protezioni. “Ma lo sapete che stanno indagando sulla Ong, Africa Milele, che non l’aveva registrata, la Farnesina non sapeva neanche fosse in quel posto. I bambini orfani lì venivano toccati senza neanche i guanti in lattice. Siamo a dei livelli mai visti. Principianti – ha osservato Fumagalli – allo sbaraglio che mandano in mezzo ai leoni e ai coccodrilli tredici ragazzi. Bisogna fare un albo in cui ci sono le ong, timbrate e verificate. Questi ragazzi devono essere sicuri di non andare a morire”.

    Per quanto riguarda le bottiglie lanciate alla finestra di casa di Silvia, come anche gli attacchi ricevuti sui social, lo zio sostiene che si sia trattato di “un gesto da ubriaconi” che di certo “non ci fa paura dopo quello che abbiamo passato”. “Silvia – ha aggiunto – non ha paura delle minacce su internet, assolutamente. Noi ridevamo sul divano nella nostra intimità. Ma avete capito che siamo delle persone normali? Abbiamo sofferto tanto nella vita, questa è l’ultima cosa che non ci aspettavamo e ci ha solo rinforzato”. E per quanto riguarda il riscatto: “Quando parlo dei soldi del riscatto nessuno mi fa dire certe cose. I soldi, indipendentemente che l’abbiano pagato o no il riscatto, sono quelli dei servizi segreti e sono indipendenti dalle tasche degli italiani. Quindi non è che leviamo i soldi agli italiani. Però non me lo fanno dire”.

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